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Nikola Jokić

Nikola Jokić, il cavallo pazzo del basket

Il giocatore è nella ristretta lista di quelli che hanno scritto la storia di questo sport. E quasi certamente non è finita qui, visto che ha soli 29 anni

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Nikola Jokić, il cavallo pazzo del basket

Il giocatore è nella ristretta lista di quelli che hanno scritto la storia di questo sport. E quasi certamente non è finita qui, visto che ha soli 29 anni

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Nikola Jokić, il cavallo pazzo del basket

Il giocatore è nella ristretta lista di quelli che hanno scritto la storia di questo sport. E quasi certamente non è finita qui, visto che ha soli 29 anni

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Il giocatore è nella ristretta lista di quelli che hanno scritto la storia di questo sport. E quasi certamente non è finita qui, visto che ha soli 29 anni

Beve (quasi) solo latte, vive per i suoi cavalli e da anni manda in analisi quella fetta di Nba ancora convinta che gli americani siano i soli depositari del Gioco (con la g maiuscola) del basket. In realtà Nikola Jokić, stella serba dei Denver Nuggets, è ben più di questa rapida presentazione. Intanto è stato eletto per la terza volta negli ultimi quattro anni come miglior giocatore della regular season (e lo scorso anno si era piazzato secondo), nella lega professionistica in cui giocano ancora mostri sacri come LeBron James, Kevin Durant, Steph Curry e in cui si sono appena affacciati talenti destinati a ricevere la legacy dai fuoriclasse assoluti, per esempio il francese Victor Wembanyama. Nel conteggio dei riconoscimenti come Most Valuable Player (Mvp) Jokić è ora alla pari con Magic Johnson e Larry Bird, a una lunghezza da LeBron James, a due da Michael Jordan. Insomma, è nella ristretta lista di quelli che hanno scritto la storia di questo sport. E quasi certamente non è finita qui, visto che ha soli 29 anni.

La sua gioia in conferenza stampa alla notizia del premio come Mvp è stata come sempre contenuta, ma non soltanto perché Denver è sotto nel conto della serie della semifinale di Western Conference con i Minnesota Timberwolves: Jokić è proprio fatto così, un genio indolente che mostra un trasporto relativo per il basket, mentre s’illumina d’immenso quando si parla di cavalli. Appena finisce la stagione, sale su un aereo e torna a casa sua in Serbia, in quella Sombor che lo ha visto nascere, con la mente quasi soltanto rivolta ai suoi allevamenti di cavalli di razza. Il titolo di miglior giocatore della lega nel 2022 hanno dovuto recapitarglielo in Serbia. In estate poi non è raro incontrarlo anche in Italia in giro per ippodromi, spesso e volentieri per acquistare esemplari di pregio, in una mise difficilmente immaginabile per una superstar planetaria dello sport: ciabatte, canotta e birra alla mano. Non si può non amarlo, se non fosse per i suoi fratelli maggiori, pugili rissosi e maneschi, che si sono fatti ‘apprezzare’ in tutte le arene Nba al punto da rischiare di essere allontanati per sempre dalle partite in cui è impegnato il loro fratello famoso.

Un personaggio come Jokić potrebbe risultare indigesto in un contesto in cui durante ’estate i migliori lavorano come matti per modellare il fisico già scultoreo e affinare i fondamentali della loro tecnica già sopraffina. Kobe Bryant – come Michael Jordan – d’estate cominciava ad allenarsi già alle 4 del mattino a Los Angeles perché non accettava l’idea che sulla costa atlantica (dove la giornata parte in anticipo per il fuso orario) ci fosse qualcuno che aveva iniziato a farlo prima di lui.

I workout estivi di LeBron James, a quasi 40 anni, spaventano solo a guardarli. Jokić no: lui gira con i cavalli, balla alle sagre serbe, ama la birra, mette su qualche chilo e si mantiene ben lontano dai campi da basket. La verità è che non ne ha bisogno o almeno non quanto gli altri: è uno scienziato del gioco, un giocatore totale. Secondo il canale Usa Espn è il miglior passatore della storia della pallacanestro (e non sembri una mancanza di rispetto verso Magic Johnson, sommo interprete della specialità). In realtà Jokić somiglia più al grandissimo Larry Bird e anche ad Arvydas Sabonis, il ‘principe del Baltico’ che – battendo con l’Urss quasi da solo gli Stati Uniti ai Giochi di Seul 1988 – indusse la Nba a spedire a Barcellona 1992 Jordan, Magic, Bird e tutti gli altri assi dell’indimenticabile Dream Team. Mica poco.

Di Nicola Sellitti

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