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«Non c’è più tempo per morire»

L’addio a Giampiero Galeazzi e ad un modo di fare giornalismo che non esiste più

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«Non c’è più tempo per morire»

L’addio a Giampiero Galeazzi e ad un modo di fare giornalismo che non esiste più

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«Non c’è più tempo per morire»

L’addio a Giampiero Galeazzi e ad un modo di fare giornalismo che non esiste più

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L’addio a Giampiero Galeazzi e ad un modo di fare giornalismo che non esiste più

Sorridendo, Giampiero Galeazzi – per tutti “bisteccone” – amava ricordare come per milioni di italiani fosse scontato che lui e i fratelli Abagnale fossero grandi amici. Del resto, le imprese dei leggendari canottieri di Castellammare di Stabia sono inscindibili dalla voce del grande telecronista scomparso ieri all’età di 75 anni. Eppure, chiosava Galeazzi, non c’era mai stata frequentazione. Lui si era limitato a fare meravigliosamente il proprio lavoro, raccontando come nessun altro delle vittorie che appartengono all’immaginario del Paese. Nei suoi «Andiamo a vincere» o «Non c’è più tempo per morire» c’era un modo di fare giornalismo apparentemente fuori dagli schemi, ma in realtà perfetto per arrivare al cuore e allo stomaco. Nonostante tutte le iperboli e le immagini retoriche, Galeazzi non appariva mai ‘troppo’. Lui che troppo lo era di fisico, che non a caso aveva sfruttato anche per un signor passato da canottiere. Indimenticabile anche nel tennis e nel calcio, il nostro sport nazionale. Intervistava chiunque, dovunque e in qualsiasi momento delle partite. Oggi sarebbe impensabile quel rapporto diretto con i calciatori. E che calciatori. Nello spogliatoio del Napoli, subito dopo la conquista del primo scudetto, Diego Armando Maradona gli portò via il microfono e cominciò a fare lui le interviste ai compagni. Galeazzi lasciò fare felice come un bambino, anche quando si beccò un gavettone passato alla storia. Come il suo istintivo commento live: «Mi hanno fracecato». Senza perdere un grammo di professionalità. di Diego de la Vega

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