Olimpiadi e Paralimpiadi a confronto, nello sconforto
Continuano le disuguaglianze tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Dalla copertura mediatica alle importanti differenze nei guadagni per gli atleti dopo una vittoria.
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Olimpiadi e Paralimpiadi a confronto, nello sconforto
Continuano le disuguaglianze tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Dalla copertura mediatica alle importanti differenze nei guadagni per gli atleti dopo una vittoria.
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Olimpiadi e Paralimpiadi a confronto, nello sconforto
Continuano le disuguaglianze tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Dalla copertura mediatica alle importanti differenze nei guadagni per gli atleti dopo una vittoria.
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Continuano le disuguaglianze tra Olimpiadi e Paralimpiadi. Dalla copertura mediatica alle importanti differenze nei guadagni per gli atleti dopo una vittoria.
Esistono disuguaglianze evidenti tra le Olimpiadi e le Paralimpiadi, assolutamente non giuste ed è sotto gli occhi di tutti che ci sia bisogno di un netto cambiamento. Ad esempio, i diritti tv e streaming relativi ai due eventi sono stati distribuiti in maniera iniqua ma queste non sono le uniche differenze: anche i guadagni cambiano molto se si è un atleta olimpico o paralimpico.
In mezzo a tutte le polemiche che si sono create, in modo particolare sui social, sulle disuguaglianze nette tra olimpiadi e paralimpiadi, quel che viene meno spesso è la nostra attenzione verso ciò che è realmente importante: il talento degli atleti. In modo particolare di quelli paralimpici, molte volte al centro dell’attenzione più per le loro problematiche fisiche rispetto che per i loro risultati atletici.
I diversi valori delle stesse medaglie
Per realizzare le medaglie di Olimpiadi e Paralimpiadi gli organizzatori di questi eventi hanno riciclato vecchi dispositivi telefonici per recuperare i metalli con cui crearle. E questa è un’ottima notizia. Solo la medaglia d’argento è effettivamente di questo materiale, mentre quella d’oro è placcata in oro e quella di bronzo è composta da ottone rosso. 650 euro è il valore della medaglia d’oro, 350 quella d’argento mentre quella di bronzo vale poco più di 3 euro. Ciò che cambia è il valore economico che segue la vincita di tali trofei. Le retribuzioni degli atleti sono nettamente diverse: il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) per queste Olimpiadi ha aumentato del 20% i guadagni degli atleti mentre nessun aumento è arrivato da parte del CIP (Comitato Italiano Paralimpico). L’oro di Jacobs, Tamberi e degli altri campioni azzurri di Tokyo2020 è valso loro 180 mila euro, l’argento 90 mila euro e il bronzo 60 mila euro. Discorso notevolmente diverso per gli atleti paralimpici che guadagnano meno della metà dei loro connazionali: l’oro 75 mila euro, l’argento 40 mila euro, 25 mila euro invece per il bronzo.I principali motivi di queste disuguaglianze
I motivi sono molteplici: influiscono sicuramente tantissimo innanzitutto le disponibilità dei due Comitati ma ciò che fa soprattutto la differenza è il giro d’affari intorno a tali competizioni. Si arriva in questo modo ad avere due competizioni di diversa importanza: una di “Serie A” e l’altra di “Serie B” quando invece l’unica reale differenza che ci dovrebbe essere tra queste è che i partecipanti delle Olimpiadi sono persone che non hanno menomazioni fisiche. L’allenamento per arrivare a certi livelli, le difficoltà superate, la forza di volontà e l’ambizione per ottenere certi risultati contraddistinguono tutti gli atleti sia olimpici che paralimpici ed è giusto che il nostro focus sia rivolta a questo.Il mondo del lavoro e la disabilità
Se le Paralimpiadi rappresentano una breve parentesi che interessa una nicchia nel mondo della disabilità, il discorso è ben più complesso e delicato quando si parla di lavoro. L’inserimento di persone con disabilità nel mondo del lavoro è un diritto fondamentale e deve essere una priorità per le istituzioni. Decisivo è stato il cosiddetto “collocamento mirato” grazie al quale in ogni azienda ci deve essere spazio per i disabili ritenuti idonei al lavoro e che concede alle aziende sgravi fiscali e a bonus contributivi che durano fino a 5 anni. Eppure tutto ciò non è ancora abbastanza. Serve un cambio di mentalità, uno sforzo di tipo culturale da parte di tutti gli attori in gioco. È dal mondo della scuola, come sempre, che serve partire. Bisogna che si educhi fin da piccoli all’inclusione. In questo modo i bambini, gli adulti di domani, crescono capendo l’importanza di questo valore. di Filippo MessinaLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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