Ancora un fallimento del miliardario PSG eliminato dalla Champions
Ancora un fallimento del miliardario PSG eliminato dalla Champions
Ancora un fallimento del miliardario PSG eliminato dalla Champions
“Non ho mai visto un mucchio di soldi segnare un gol”, disse Johann Cruijff, venerabile maestro e architetto di un calcio collettivo, condiviso, all’Ajax e al Barcellona. Talento e gioia, senza divismi da star e con un’idea, una visione che vada oltre un pacchetto di partite.
In verità, i gol non sono mancati al club parigino, ma stavolta sono stati assenti nei momenti decisivi. Con il Bayern, circa 200 minuti senza un timbro di Messi o Mbappe’, ma soprattutto non si è mai avvertita tra i francesi l’esigenza di quel passo in più, quella corsa in più per il compagno, lo sforzo per il successo collettivo. Non è ovviamente un caso, specie se davanti c’era una specie di esercito, una squadra che arava il campo, con star (Musiala, Kimmich, Kimmich, Muller) sempre organiche a una visione collettiva, che è prima societaria e poi dei calciatori.
Al Psg c’è stato un filo conduttore tra la gestione di Leonardo, ex calciatore-allenatore-dirigente in Italia (Milan, Inter) ed edificatore della prima fase del progetto parigino e il suo successore, Jorge Campos, il designato restauratore dello spogliatoio parigino, sempre fumante e assai sensibile alle luccicanti notti della capitale: l’assenza di unità, di una squadra di calcio che non fosse solo accumulo di costose figurine.
La risposta, puntuale, è sempre arrivata dal campo: una finale di Champions League, due stagioni fa, poi due eliminazioni cocenti, peraltro firmate dai due italiani, Donnarumma lo scorso anno che si fece anticipare da Benzema davanti alla porta e stavolta Verratti, sfilato della palla nella sua area di rigore. Il Psg ha i migliori giocatori del mondo, ma vincono sempre gli altri.
In questo senso lo sport è crudele. Respinge sempre con un’esibizione muscolare di forza, i progetti mal costruiti. La collezione di stelle è riuscita solo in un paio di occasioni, straordinarie e con una data di scadenza. Nel calcio, c’è stato il Brasile dei Mondiali del 1970, il Brasile di Pelé ma anche di Rivelino, Tostao, Gerson, Jairzinho, cinque artisti del pallone, cinque numeri “10” che per un mese fecero allineare gli astri, mostrando il calcio forse più bello di sempre, vincendo i Mondiali messicani.
E poi, ancora più straordinario, il Dream Team, la nazionale di basket statunitense, oro ai Giochi di Barcellona 1992: Michael Jordan, Magic Johnson, Bird, Malone, Barkley, i migliori 12 cestisti del mondo e star Nba che riuscirono a contenere il loro ego per rimettere l’America al vertice del mondo.
Altri progetti in cui le stelle da stipendi milionari cedono un pezzetto di autorità per il bene comune non se ne sono visti. Anche il Real Madrid di Roberto Carlos, Figo, Beckham, Zidane e Ronaldo, il clan dei Galacticos, non ha vinto la Champions League e si tratta del Madrid, un’istituzione del calcio, un club certamente più grande di ognuno dei suoi calciatori, mentre il Psg resta una società con una tradizione calcistica assai limitata a livello internazionale.
Accumulare stelle senza una visione è ancora più complesso nello sport attuale, tra atleti-industria, procuratori con lo smartphone sempre caldo. In questo senso è emblematica la gestione di Neymar, ora fuori per infortunio, rimproverato anche da Mbappé per l’esagerata vita notturna parigina e per il limitato impegno agli allenamenti, accusa che gli viene rivolta da anni. Insomma, il Psg pare sempre di più un bancomat e non c’è tecnico o sergente di ferro in panchina, chiunque sia, a definire un cambio di registro, se il segnale non arriva dalla proprietà.
Con ogni probabilità questo tipo di analisi interessa anche poco al padrone del vapore, lo sceicco Al Thani, che pensa ora di regalarsi il Manchester United e che ha acquistato oltre 10 anni fa il Psg con l’obiettivo, riuscito, di tirare la volata ai Mondiali in Qatar, che tra l’altro ha visto in finale due stelle del Psg, Messi e Mbappé, ieri sera spettatori non paganti all’Allianz Arena.
Di Nicola Sellitti
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