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Quante inutili parole

La verità è che vorremmo più partecipazione alle emozioni che lo sport sa regalare a livello olimpico e meno vittimismo, caccia all’ultima polemica e ai sempre utili alibi

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Quante inutili parole

La verità è che vorremmo più partecipazione alle emozioni che lo sport sa regalare a livello olimpico e meno vittimismo, caccia all’ultima polemica e ai sempre utili alibi

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Quante inutili parole

La verità è che vorremmo più partecipazione alle emozioni che lo sport sa regalare a livello olimpico e meno vittimismo, caccia all’ultima polemica e ai sempre utili alibi

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La verità è che vorremmo più partecipazione alle emozioni che lo sport sa regalare a livello olimpico e meno vittimismo, caccia all’ultima polemica e ai sempre utili alibi

Due consigli che valgono anche come premesse: se cercate in queste righe l’ennesima polemica sulla vicenda della pugile che non sarebbe una donna potete anche immediatamente interrompere la lettura.

Seconda premessa-consiglio: provate a godervi fino in fondo le emozioni travolgenti che le Olimpiadi sanno regalare (a cui abbiamo dedicato solo ieri il nostro pensiero), prima di passare il tempo a cercare l’ultimo modo per attaccare, criticare, non riconoscere i meriti degli avversari.

Passiamo, dunque, alla vicenda dell’algerina Imane Khelif, che per quanto stabilito da una commissione terza nominata dal Comitato olimpico internazionale è una donna. Produce più testosterone di quanto facciano in media le persone di sesso femminile, ma è una donna a tutti gli effetti innanzitutto giuridici e sportivi.

L’algerina Khelif – piaccia (poco) o non piaccia – ha partecipato già ai Giochi olimpici, è stata portabandiera del suo paese ai Giochi del Mediterraneo, ha partecipato ai Mondiali prima di essere fermata dalla Federazione internazionale della boxe. Stop un attimo: converrebbe non far passare quest’ultima per un’organizzazione carmelitana o degna della massima fiducia, tanto è vero che è stata esclusa per corruzione dal Comitato olimpico internazionale. L’accusa è di essere stata di fatto comprata da un magnate russo grande amico di Vladimir Putin.

Si vuole sostenere che Imane sia troppo forte per competere con delle donne?
Posizione legittima, ma in aperto contrasto con i precedenti risultati olimpici e mondiali dell’atleta, che non ha mai fatto sfracelli e con il principio olimpico del diritto a gareggiare di ogni persona.
Se c’è qualcosa di nuovo, di clamorosamente irregolare si devono presentare delle prove a suo carico e a carico della Federazione algerina, non si può procedere per sentito dire o a botte di tweet.

Perché poi a pagarne le conseguenze è stata innanzitutto Angela Carini, travolta da un uragano di polemiche che nessuno avrebbe saputo gestire, tantomeno un’atleta non certo abituata alla luce dei riflettori e a questa spasmodica attenzione strumentale (Angela è apparsa sostanzialmente un utilissimo testimonial d’occasione). Seguiremo con grande attenzione i prossimi match della Khelif, perché se non dovesse vincerli spazzando via le avversarie – come da Musk a scendere nessuno sembra avere dubbi – allora i dubbi comincerebbero a venire a noi…

La verità è che – tornando all’appello iniziale – vorremmo più partecipazione alle emozioni che lo sport sa regalare a livello olimpico e meno vittimismo, caccia all’ultima polemica e ai sempre utili alibi.
Le lacrime sul podio della judoka Alice Bellandi valgono dieci volte tutto il caos mediatico e politico montato sulla vicenda Khelif, cui il Cio ha dedicato un lungo comunicato stampa che demolisce la narrazione su bestialità tipo “il pugile trans” che ci è toccato leggere, nel consueto effetto moltiplicatore di sciocchezze offerto dai social.

Di Fulvio Giuliani

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