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Se è l’ipocrisia a vincere la medaglia d’oro

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Il caso di Kamila Valieva, l’ennesimo di atleti bambini a cui è stata sottratta l’infanzia, è un mix d’ipocrisia e ignavia. Le reazioni tardive servono a poco.

Kamila Valieva

Se è l’ipocrisia a vincere la medaglia d’oro

Il caso di Kamila Valieva, l’ennesimo di atleti bambini a cui è stata sottratta l’infanzia, è un mix d’ipocrisia e ignavia. Le reazioni tardive servono a poco.

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Se è l’ipocrisia a vincere la medaglia d’oro

Il caso di Kamila Valieva, l’ennesimo di atleti bambini a cui è stata sottratta l’infanzia, è un mix d’ipocrisia e ignavia. Le reazioni tardive servono a poco.

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C’è un limite all’ipocrisia, ancor di più se parliamo di Olimpiadi. Il caso della quindicenne pattinatrice russa Kamila Valieva è un monumento all’ignavia dei vertici dello sport. Uno scandalo che sia stato concesso di gareggiare a questa poco più che bambina, dopo l’accertamento dell’uso di almeno una sostanza proibita. Nessuno incolpa un’atleta a cui qualcuno sta cercando di rubare la gioventù. Piuttosto, ieri il presidente del Comitato olimpico internazionale, Bach, ha tuonato dicendosi «agghiacciato» dall’entourage della Valieva. Reazione tardiva, considerato che il n. 1 del Cio avrebbe dovuto tutelare la ragazza, impedendole di gareggiare e sottraendola a una macchina infernale. Dichiararsi inorridito solo dopo averla vista implodere sul ghiaccio, a un passo dall’oro, non serve a nulla. Bach ora promette una norma per impedire la partecipazione di atleti-bambini ai Giochi. Sono decenni che ne sentiamo parlare, ma non se n’è mai fatto nulla per le pressioni dei potenti comitati olimpici che da sempre vincono con bambine e bambini nella ginnastica artistica, nei tuffi o nel pattinaggio artistico. Resta, poi, l’amarezza per il doppiopesismo politico. Da un lato la messa al bando della Russia per il sistematico ricorso al doping, dall’altro permettere ad atleti sospetti di gareggiare sotto la bandiera del Comitato olimpico russo. Capirete la differenza… A Kamila Valieva auguriamo di trovare più che allenatori da medaglia maestri di vita che sappiano restituirle almeno un pezzo dell’infanzia rubata. di Diego de la Vega

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