Serena Williams e un tennis mai visto
Serena Williams e un tennis mai visto
Serena Williams e un tennis mai visto
Non tornerà indietro. A New York si è consumato il suo ultimo atto. Cos’altro il tennis potrebbe aggiungere alla carriera di Serena? Non una prova in più del Grand Slam o altri milioni. È entrata di diritto nel dibattito sulla tennista più forte di sempre: lei o Steffi Graf, Navratilova o la prima Monica Seles, prima dell’attentato del 1993 ad Amburgo? Una innovatrice, il power tennis e una prima di servizio mai vista nel circuito femminile. A lei interessa poco la patente di migliore. È più persuasa, come ha scritto in una lettera a “Vogue”, di essere ricordata come «un simbolo di qualcosa di più grande del tennis». A “Time” Serena ha indicato i migliori di sempre in Lewis Hamilton e Lebron James, precisando che la discussione sugli eletti dello sport non può che partire da Michael Jordan. Esempi da seguire per chi viene dopo, la legacy è un assioma nello sport americano. Forse lei è stata anche qualcosa in più.
Con la sorella Venus ha portato il tennis dal ghetto agli occhi del mondo e mentre diventava la più forte (tre prove del Grand Slam nel 2002), ha avviato la partita personale sulle battaglie civili. Alcune quasi vinte, come il superamento della disparità salariale tra uomini e donne nel tennis e contro l’assenza di tutele per le tenniste in gravidanza; su altre, come il sessismo e il body shaming, c’è ancora un oceano da colmare. È stata Serena a far mettere a fuoco la questione del corpo delle tenniste. Il suo, muscoloso e definito, si è attirato vomiti razzisti (un dirigente della Federazione russa definì lei e la sorella Venus «i fratelli Williams») ma ora, anche grazie a lei, questi stereotipi sono assai meno marcati e corrosivi.
Anche sul look la rivoluzione è partita da lei: agli US Open di 18 anni fa si presentò con dei lunghi stivali e un completo di jeans griffati Nike in stile Agassi, un paio di edizioni fa del Roland Garros si è esibita in versione Catwoman in tuta nera aderente: discussioni tante ma lei non ha arretrato di un millimetro. E così sulla lotta per le minoranze: il suo fondo d’investimento, Serena Ventures, ha investito sulle iniziative imprenditoriali di donne, neri e giovani statunitensi senza uno sbocco finanziario per le proprie idee.
È caduta e si è rialzata, Serena. Un’embolia polmonare post infortunio a un piede, nel 2011, ha messo in pericolo la sua vita; l’anno dopo è stata a un passo dal ritiro, poi il nuovo coach (Mouratoglou) e la rinascita, sino all’ultimo Slam vinto: l’Australian Open del 2017 quand’era incinta di due mesi. Ha pure sbagliato: nel 2018 nella finale perduta allo US Open contro Naomi Osaka ha dato del ladro al giudice di sedia mentre ricordiamo la racchetta spaccata in due allo Us Open del 2015 in occasione della sconfitta con Roberta Vinci che le costò il Grand Slam. In oltre vent’anni Serena è stata tanto. Sul campetto lastricato di cocci a Compton, pericoloso quartiere di Los Angeles dove grazie a papà Richard ha imparato a giocare con la sorella Venus, erano stati preparati con cura i colpi per le avversarie e le sfide della vita. Aggressivi, diretti. Sempre sulla riga.
di Nicola SellittiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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