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Serie A, basta piangere. Guarda Ducati

Il calcio italiano rischia la depressione, ma c’è un esempio che la serie A potrebbe seguire: il successo Ducati, che domina il mondiale devastando la concorrenza
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Serie A, basta piangere. Guarda Ducati

Il calcio italiano rischia la depressione, ma c’è un esempio che la serie A potrebbe seguire: il successo Ducati, che domina il mondiale devastando la concorrenza
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Serie A, basta piangere. Guarda Ducati

Il calcio italiano rischia la depressione, ma c’è un esempio che la serie A potrebbe seguire: il successo Ducati, che domina il mondiale devastando la concorrenza
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Il calcio italiano rischia la depressione, ma c’è un esempio che la serie A potrebbe seguire: il successo Ducati, che domina il mondiale devastando la concorrenza
Inutile negarlo, il calcio italiano rischia la depressione: dopo la quasi sbornia delle coppe europee con tre finaliste e altrettante sconfitte – che solo osservatori distratti possono considerare un fatto negativo – le Nazionali hanno mostrato l’ormai consueto balbettio da un anno e mezzo a questa parte. Metteteci poi il mercato, con gli arabi che fanno shopping anche da noi (ripetiamo: anche, perché stanno comprando ovunque) spendendo cifre inconcepibili. Si badi, non è una reazione stizzita da appassionati, è una considerazione persino banale; pagare 100 milioni di euro in tre anni un giocatore di ottimo livello, ma pur sempre ben lontano dall’essere un fuoriclasse come Marcelo Brozović significa spostare l’asticella del “mercato” in una dimensione parallela. Creare una bolla potenzialmente destabilizzante per l’intero sistema, trascinando prezzi e ingaggi di comprimari, mezzi bidoni e bolliti vari lì dove non poche squadre rischiano di trovare solo il corto circuito economico. Vale per l’Italia, ma non solo. Poi, ci sono i protagonisti più o meno di sempre (gli inglesi, il Paris Saint-Germain, il Bayern Monaco che ha appena pagato senza batter ciglio i 58 milioni di clausola per il coreano Kim al Napoli) che fanno apparire il nostro massimo campionato vagamente lillipuziano. Dato che l’ultima stagione, come abbiamo sottolineato, dimostra esattamente il contrario e che quelle tre finali non sono una casualità, ci permettiamo di indicare un esempio alla nostra serie A: la Ducati. La storica casa di Borgo Panigale ha tradizione, un know how sportivo invidiabile, professionalità eccelse, ma quello che sta facendo in MotoGP resta una specie di miracolo solo apparentemente inspiegabile. Ducati domina il mondiale, devastando la concorrenza dei colossi giapponesi. Qualcosa che in Italia non viene considerato abbastanza, anche per lo straordinario segnale industriale che la “rossa” su due ruote sta dando al Paese e al mondo. Un successo impressionante, un cappotto tecnico e agonistico frutto di una programmazione a lunga scadenza, di una progettualità fantasiosa e al contempo rigorosa, di un certosino lavoro di allevamento dei migliori piloti, ingegneri, progettisti e tecnici attraverso il team principale e le squadre satelliti. Il tutto con risorse che sono una frazione di quella a disposizione di Honda, Yamaha e compagnia. I soldi sono fondamentali, ma non saranno mai tutto, senza quanto abbiamo elencato e costituisce la specificità italiana in un mondo iper tecnologico e ultra competitivo. La serie A può scegliere se diventare una Ducati del pallone, con fantasia, programmazione e abnegazione o continuare a piangersi addosso perché arrivano i cattivoni inglesi o i petrodollari sauditi a fare shopping. Di Fulvio Giuliani

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