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Jannik Sinner

Sinner avanti per un soffio

Australina Open: Jannik Sinner risorge, vince e va agli ottavi di finale contro Tsitsipas
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Sinner avanti per un soffio

Australina Open: Jannik Sinner risorge, vince e va agli ottavi di finale contro Tsitsipas
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Sinner avanti per un soffio

Australina Open: Jannik Sinner risorge, vince e va agli ottavi di finale contro Tsitsipas
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Australina Open: Jannik Sinner risorge, vince e va agli ottavi di finale contro Tsitsipas
Jannik finisce all’inferno, nel mezzogiorno di fuoco australiano. Poi risorge, vince e va agli ottavi di finale, regalando agli italiani almeno un motivo per restare sintonizzati sugli Australian Open. Che in realtà sembrano disegnati per la grande rivincita di Nole Djokovic, un anno dopo l’arresto, la reclusione e l’espulsione dal paese del serbo per l’avversione al vaccino anti Covid, che lo scorso anno era necessario per l’iscrizione al torneo.

Sotto di due set con l’ungherese Fucsovics, numero 78 al mondo, il finale per Sinner pareva già scritto. Ennesima occasione perduta, per il 21enne altoatesino. Nonostante la potenza dei colpi e una condizione fisica invidiabile, il numero uno italiano non riusciva a fare male all’avversario. Sembrava alla ricerca di quel quid che a volte gli manca: l’impatto emotivo sull’avversario, la capacità di condizionarne il rendimento non solo nei gioco, ma nella testa.

Sinner si è poi rialzato, ha rivisto il piano partita. Ha vinto tre set in fila concedendo appena tre game all’avversario. Un tipo che conosce bene, si allenano spesso assieme.  Agli ottavi ora c’è Tsitsipas, cliente fisso della top ten mondiale, attualmente è numero quattro. Il greco lo scorso anno l’ha respinto severamente a Melbourne. Quella sconfitta è stata l’innesco della crisi con Riccardo Piatti, la consapevolezza in Sinner che era il tempo di un passo diverso, nel fisico, nel gioco di volo, che ha poi prodotto la separazione tra Jannik e l’allenatore italiano.

Contro Tsitsipas servirà certo un altro tipo di approccio. Gambe, cuore, mente. Soprattutto, personalità sul rettangolo di gioco. Sulle sue spalle c’è in questo momento il tennis italiano, che ha portato lo stesso Sinner, Berrettini e Musetti nella top 20 la scorsa settimana. È la prima volta che un terzetto tricolore arriva così in alto. Tra una decina di giorni Berrettini finirà fuori dai primi 20, ci tornerà presto, ma poco cambia: la classifica è ottima, manca ancora l’acuto italiano, che sia una finale del Grand Slam – che Berrettini ha raggiunto lo scorso anno a Wimbledon con Djokovic -, o il successo in un Master 1000.

Mentre Sinner scioglie le gambe e prova a riprendersi dall’escursione termica che propone sbalzi anche di 20 gradi tra il giorno e la notte di Melbourne, potrebbe dare un occhio agli highlights su Andy Murray. Lo scozzese dall’anca artificiale, 36 anni, tre titoli del Grand Slam vinti in carriera, almeno cinque anni tra chirurgo e lettino del fisioterapista, ha messo in fila nei primi due turni Berrettini e Kokkinakis (idolo locale), giocando quasi 11 ore, a temperature impossibili. E’ la lezione di Andy. Protesi in metallo, si trascina, è praticamente zoppo, soffre. Spesso perde. Ma non lascia un centimetro sul campo agli avversari. Una sofferenza gioiosa, ama il tennis e non vuole smettere. Si era anche ritirato, non ce l’ha fatta, l’amore per il Gioco va oltre. Contro Kokkinakis ha vinto dopo oltre cinque ore di partita, terminata alle quattro del mattino.

Ha vinto tanto, lo scozzese. Un oro olimpico, due trionfi a Wimbledon, il lasciapassare agli occhi degli inglesi per essere considerato quantomeno un figlioccio della Regina. Finché perdeva, era sempre scozzese. Murray è stato il Ringo Starr del tennis mondiale, il quarto dei Fab Four, con Federer (che resta inevitabilmente Lennon), Nadal, Djokovic.

Ma emoziona più adesso, che alterna successi e sconfitte, che è costretto a ritiri, dolori. Che riesce ad andare oltre la sofferenza fisica, evidente, mostrata al mondo, senza enfasi. Ora è atteso dallo spagnolo Bautista-Agut, per l’ennesima impresa. A Jannik serve quel tipo di “punch” sugli avversari. Un impatto soprattutto emotivo, in grado di farli giocare al di sotto del loro standard. A cominciare dalla sfida con Tsitsipas.

Di Nicola Sellitti

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