Sinner, il magnifico esempio
Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti
Sinner, il magnifico esempio
Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti
Sinner, il magnifico esempio
Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti
Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti
Siamo una generazione che ha avuto l’enorme fortuna di seguire ed impazzire per sportivi incredibili, da Alberto Tomba a Valentino Rossi, da Deborah Compagnoni a Federica Pellegrini. Abbiamo palpitato per l’epopea di Roberto Baggio, l’unico calciatore italiano – con la parziale eccezione di Paolo Maldini e Francesco Totti – ad aver assunto una dimensione globale negli ultimi trent’anni, dopo la generazione di Paolo Rossi.
Abbiamo la sensazione, però, che uno come Jannik Sinner non ci sia mai capitato. Un fenomeno assoluto, un genio del tennis, ma anche lontano mille miglia da molte delle caratteristiche dei campionissimi che abbiamo elencato: spesso eccentrici, complessi, esagerati, alteri, irraggiungibili.
Sinner riesce nell’impresa di unire le emozioni profonde che suscita giocando un tennis riservato agli eletti a una perfezione dei gesti, della parola e dei comportamenti a cui francamente siamo disabituati.
Non ci riferiamo solo al mondo dello sport, perché una persona così ben educata, composta e rispettosa di chiunque si trovi dalle sue parti – dall’ultimo dei raccattapalle al Presidente della Repubblica – è una rarità assoluta per questi tempi non di rado insopportabilmente cafoni ed esagerati.
C’è da chiedersi cosa potremmo aver mai fatto per meritarci un simile ragazzo, compendio di bellezza tecnica e pulizia umana. Ci sono il trionfo di poche ore fa a Miami e il modo in cui ha cancellato dal campo il numero 4 e il numero 11 del mondo, ci sono il primo Slam della storia italiana e un filotto di vittorie che fa spavento anche solo a scriverlo (25 su 26, senza contare i miracoli in Coppa Davis), ma se dovessimo scegliere un esempio per provare a sintetizzare quanto abbiamo scritto torneremmo alle folli giornate romane successive al trionfo di Melbourne. Chi avrebbe resistito a quell’ordalia di show, ringraziamenti e passerelle senza perdere 1 grammo di concentrazione? Chi avrebbe rinunciato ai 20 milioni di spettatori di Sanremo? Jannik Sinner. Punto.
L’assoluta, totale serietà in cui è tornato a immergersi all’istante, dopo essersi concesso il giro d’onore – perché sentiva che fosse giusto farlo – ha certificato come poche altre cose le stimmate della leggenda.
Questo ragazzo potrà vincere tantissimo in campo, ma potrebbe fare qualcosa di ancora più importante: essere d’esempio, in una fase storica in cui ci siamo colpevolmente illusi che il sudore, la fatica, l’apprendimento, il senso del del sacrificio, l’onore, il rispetto dell’avversario e delle difficoltà non contassero poi così tanto. Che bastasse più apparire che essere, più parlare che fare.
Ecco, guardiamoci Jannik, non contiamo i denari che vince giocando (esercizio sostanzialmente volgare), riflettiamo sulla fatica e i sacrifici necessari per poter essere così come lui è.
di Fulvio Giuliani
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