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Renato Cesarini, una vita oltre il 90° minuto

La locuzione “gol in zona Cesarini” prende il nome, anzi il cognome, da una rete segnata da Renato Cesarini, che con la sua vita è diventato il simbolo di chi non si arrende mai
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Alle volte basta un goal, uno soltanto ma segnato al momento giusto, per scrivere il proprio nome nella storia. Quell’istante nel quale il pallone finisce in fondo alla rete spesso ha dentro di sé un po’ di tutto: gioia, disperazione, riscatto, esaltazione. Lo sa bene Renato Cesarini, nato l’11 Aprile 1906 a Senigallia, ma argentino d’adozione che proprio grazie a un goal segnato al novantesimo è diventato non solo ispiratore di una locuzione che da oltre novant’anni è parte del comune lessico calcistico, ma anche simbolo di chi non si arrende e fino all’ultimo prova a cambiare lo stato delle cose.

Come calciatore Cesarini si forma in Argentina, dove sbarca insieme alla famiglia a soli nove mesi. Il suo destino è però quello dell’emigrante di ritorno perché nel 1930 lo acquista la Juventus di Edoardo Agnelli. Renato è però un tipo lontano dallo stile bianconero. È uno che ama vivere, si concede lussi e lazzi, scappa di notte dai ritiri per andare a divertirsi e racconterà di aver imparato l’italiano dalle maitresse.

Però gioca, e bene. Ecco perché Vittorio Pozzo lo convoca in Nazionale nel 1931. Il CT però non sa come gestire quell’esuberante personalità, tant’è che dopo sole undici partite la sua storia in azzurro terminerà. Ma prima c’è ‘quel’ momento magico: il 13 dicembre 1931, al Filadelfia di Torino, l’Italia gioca contro l’Ungheria. Segna Libonatti, poi Avar pareggia, Orsi ci riporta avanti, ma ancora Avar ci riacciuffa. È il novantesimo minuto e tutto sembra finito, quando la palla arriva a Cesarini che appoggia a Costantino, si sovrappone, finge di servire Orsi e invece con un tiro potente ma preciso batte il portiere ungherese. Fine. 3-2 per noi.

Una settimana dopo, quando Visentin segna al novantesimo il gol con il quale l’Ambrosiana batte la Roma, il giornalista Eugenio Danese parla per la prima volta di rete segnata “in zona Cesarini”. A 25 anni Renato è appena entrato nella leggenda. Nel 1935 torna in Argentina, vince due scudetti con il River Plate e poi dal campo passa alla panchina. E anche qui diviene leggenda, anticipando di diversi anni il “calcio totale” degli olandesi con il suo River, organizzato in maniera talmente precisa e moderna da passare alla storia come “la Maquina”.

Tornerà in Italia, farà esordire nella Juventus un certo Giampiero Boniperti e poi scoprirà e lancerà un altro irregolare come lui: Omar Sivori, il campione ribelle che però si rivolgeva al suo pigmalione chiamandolo “maestro”. Sivori, orfano di padre, e Cesarini che padre non era mai stato, resteranno legati per tutta la vita da una grande amicizia. Renato – eroe dei due mondi e genio ingiustamente sovrastato dal suo essere divenuto icona – vivrà il novantesimo della sua esistenza il 24 marzo 1969.  Non prima però di averci insegnato che il confine fra la gioia e la tristezza, fra la fine e l’immortalità, spesso passa per un secondo. Un ultimo secondo che, a volte, vale una vita intera.

Di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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