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Thomas Ceccon

Thomas Ceccon, italiano atipico

Un personaggio del genere nel Pantheon dei fuoriclasse italiani non c’è forse mai stato. Perché Thomas Ceccon accede al tavolo dove c’è posto a sedere per pochi

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Thomas Ceccon, italiano atipico

Un personaggio del genere nel Pantheon dei fuoriclasse italiani non c’è forse mai stato. Perché Thomas Ceccon accede al tavolo dove c’è posto a sedere per pochi

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Thomas Ceccon, italiano atipico

Un personaggio del genere nel Pantheon dei fuoriclasse italiani non c’è forse mai stato. Perché Thomas Ceccon accede al tavolo dove c’è posto a sedere per pochi

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Un personaggio del genere nel Pantheon dei fuoriclasse italiani non c’è forse mai stato. Perché Thomas Ceccon accede al tavolo dove c’è posto a sedere per pochi

Un personaggio del genere nel Pantheon dei fuoriclasse italiani non c’è forse mai stato. Perché Thomas Ceccon accede al tavolo dove c’è posto a sedere per pochi, con il Grand Slam (oro olimpico, mondiale, europeo e record del mondo) nei 100 metri dorso.

Ricorda un po’ Valentino Rossi e un po’ Vasco Rossi. Forse si può sintetizzare così, magari solo in superficie. A volte è sbarazzino e diretto nei denti come il Dottore, colui che ha sdoganato stile e linguaggio, un precursore che resta unico. Poi è allusivo e criptico come il Blasco: lascia i concetti sospesi, senza una conclusione, un epilogo. E sa essere spaccone alla Alberto Tomba: dopo essersi qualificato con il 12esimo tempo in semifinale nei 100 dorso, flirtando con la clamorosa eliminazione, ha spiegato – annoiato anche da stesso – di temere «il cinese» (Xu) e «l’americano» (Murphy), mentre gli altri avrebbero solo composto il paesaggio della finale olimpica. Senza scomporsi: è così dai tempi di Schio, prima del trasferimento al centro tecnico di Verona (lo stesso in cui si allenava Federica Pellegrini) dov’era considerato il Michael Phelps italiano per la capacità di vincere nel dorso, nella rana e nello stile libero.

A volte è stralunato, indefinito. Quasi fosse depresso, anche davanti alle telecamere. Bello, dannato e complicato a 23 anni. Come Ian Curtis, il cantante dei Joy Division. Pure pigro: da ragazzino ha perso diverse medaglie per un approccio soft in vasca. E anche più di qualche allenamento mattutino per una naturale predisposizione al ritardo.

Eppure, quando vuole, la lingua di Thomas è veloce come la sua vasca di ritorno nei 100 dorso. Su Jannik Sinner ha detto un mese fa: «Tutto quello che lo riguarda è esagerato, anche se pulisce le righe del campo sembra un santo». Aggiungendo almeno che con il numero uno al mondo nel tennis condivide l’ossessione per il suo sport. I Giochi sono stati per lui un chiodo fisso e in qualche modo lo si è capito anche durante la recente visita a Casa Italia del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Allo «Scusate se vi ho fatto perdere tempo con l’attesa» del Capo dello Stato, lui ha risposto «In effetti un po’ sì».

È semplicemente fatto così, Ceccon. Anarchico, fuori dagli schemi, anche poco italiano per la sua distanza siderale dal politically correct. Un attimo dopo la certezza dell’oro olimpico, si è girato verso il tabellone osservando i tempi: neppure una smorfia di gioia, di fatica. Niente. Si è sciolto solo sul podio, dove sono apparsi gli occhi lucidi, ha accennato anche l’inno nazionale. Per arrivare all’oro olimpico si era anche depilato petto e spalle. Lo fanno regolarmente tutti i nuotatori per scivolare al meglio sull’acqua, lui no: è stata la carta finale per il metallo olimpico più pregiato.

di Nicola Sellitti

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