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Dopo Cesare e Paolo, Daniel Maldini.
In una sua splendida canzone, “Marmellata #25”, Cesare Cremonini descrive alla perfezione le sensazioni regalate a un’intera generazione da due leggende dello sport. Senza il pilota per eccellenza, Ayrton Senna, e senza il calciatore più universale della storia del pallone italiano, Roberto Baggio, da anni «non è più domenica». Verissimo, per molti di noi, cresciuti anche nel loro mito. La forza dello sport e dei suoi eroi è, in definitiva, proprio questa: farsi spazio nell’immaginario collettivo e restarci, ben oltre la fine di carriere forzatamente limitate nel tempo. Ad accompagnarci più a lungo sono le ‘dinastie’ dello sport, eventi tutto sommato rari e proprio per questo ancora più affascinanti e significativi.
Nel calcio, sabato scorso i Maldini sono ufficialmente arrivati alla terza generazione, con il primo goal in serie A di Daniel, nipote di Cesare e figlio di Paolo. Una successione omerica che scala tempi e modi, ma non i colori. Quelli sono rimasti incredibilmente gli stessi, sempre quei due: il rosso e il nero. In un’epoca di professionismo esasperato, in cui chi osi parlare ancora di bandiere e romanticismo rischia di farsi dare del vecchio sognatore, il goal di Daniel Maldini a La Spezia è un viaggio nel tempo. Non solo perché è inevitabile tornare con la memoria alla prima Coppa dei campioni milanista sollevata al cielo in bianco e nero da nonno Cesare e ai trionfi a colori berlusconiani di papà Paolo, ma perché quella rete è una delle rarissime che abbiamo segnato tutti. Che sentiamo ‘nostra’ indipendentemente dal tifo, dalle simpatie e antipatie. Universale come un giro di Senna o una piroetta di Baggio.
A scanso di equivoci, non stiamo parlando del ragazzo, ma della dinastia. La vera protagonista della storia. La magia di un Dna, che in qualche misura fa di te un predestinato. A differenza di altri campi, in cui il nome può valere intere carriere, da adesso in avanti toccherà solo a Daniel. Il nonno e il papà sono un’eredità allo stesso tempo magnifica e terribile, perché nello sport non esistono i campioni per motivi familiari. Molto più di frequente, a dire il vero, figli ben lontani dai traguardi dei padri. È uno dei tanti motivi per cui ci affascinano le storie di ‘campo’: sanno di vita vera. Anche se ti chiami Maldini. La ‘spinta’ del nonno e le gesta inarrivabili del papà possono tanto, ma meno di quello che penseranno gli osservatori distratti o inaciditi dall’invidia.
Un ultimo pensiero va proprio a Paolo Maldini, un uomo che ha accettato e vissuto il ruolo di campione con equilibrio per certi aspetti monastico. Senza mai cercare il facile applauso della ‘curva’ e non aspettandosi nulla per diritto divino dalla società. Tanto è vero che al Milan ci è tornato solo molto dopo la fine dell’epopea di Silvio Berlusconi. La sua epopea. Crediamo abbia provato le emozioni di un qualsiasi genitore ed è il motivo per cui abbiamo riconosciuto quella gioia, oltre le bandiere e i colori. Un papà ingombrante e ‘diverso’, un papà come tanti.
di Diego de la Vega
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