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Paolo Ascierto

Uno sputo al buonsenso 

Un sedicente tifoso del Napoli ha sputato addosso al luminare dell’oncologia Paolo Ascierto, mentre si incamminava con suo figlio verso lo Stadio Maradona

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Uno sputo al buonsenso 

Un sedicente tifoso del Napoli ha sputato addosso al luminare dell’oncologia Paolo Ascierto, mentre si incamminava con suo figlio verso lo Stadio Maradona

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Uno sputo al buonsenso 

Un sedicente tifoso del Napoli ha sputato addosso al luminare dell’oncologia Paolo Ascierto, mentre si incamminava con suo figlio verso lo Stadio Maradona

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Un sedicente tifoso del Napoli ha sputato addosso al luminare dell’oncologia Paolo Ascierto, mentre si incamminava con suo figlio verso lo Stadio Maradona

Sarebbe facile definirlo “sputo della vergogna”. Facile, ma superficiale. Non perché non sia infamante o scandalosa l’espulsione di saliva indirizzata da un sedicente tifoso del Napoli al luminare dell’oncologia Paolo Ascierto (napoletano e tifoso juventino), mentre si incamminava con suo figlio verso la Tribuna Posillipo dello Stadio Maradona pochi istanti prima del recente Napoli-Juventus. Ma perché quanto avvenuto merita una riflessione più accurata: in piena pandemia Ascierto è stato un punto di riferimento per il Mezzogiorno per il trattamento dei contagiati attraverso il tocilizumab, il farmaco anti-artrite che ha salvato la vita a molte persone. È stato una specie di eroe nel momento più complicato della storia del Paese dal dopoguerra a oggi. Ma non è neanche questo il punto. Si è trattato di una pura bestialità arrivata da un uomo sulla cinquantina, come raccontato dallo stesso Ascierto. Quindi da una persona adulta, magari con figli. Quel gentiluomo non si è sentito frenato neppure dalla presenza del figlio dell’oncologo, che ha dovuto assistere all’umiliazione del genitore, come raccontato dallo stesso Ascierto. Il medico ha descritto in seguito anche il sorrisetto ironico dell’autore del gesto.

Intendiamoci, quella vissuta da Ascierto non è certo un’esperienza unica per gli stadi italiani. Che sembrano quasi una zona franca dove chiunque – prima, durante e dopo le partite – si sente libero di insultare e offendere all’insegna del razzismo. Un recente sondaggio di Swg su un campione di 800 individui ha rivelato che metà degli italiani ritiene fisiologico l’insulto allo stadio rivolto verso calciatori, avversari, arbitri. Ecco spiegata quindi la percezione di liceità di certi comportamenti inappropriati, tracciando idealmente l’adesione a un’arena, a un ring, a una foresta. Un luogo dove assistere a un evento sportivo diventa un posto in cui non è necessario osservare le regole del vivere civile. Si è ormai andati oltre l’esercizio della goliardia che – piaccia o meno – è sempre stata uno degli ingredienti tipici nella frequentazione degli stadi, in particolare delle curve. E si è andati decisamente oltre anche in altre arene, basta fare un giro sulle piattaforme che ospitano programmi calcistici in cui sono presenti sostenitori di questo o quel club. L’offesa è terreno quotidiano, non c’è più disintermediazione, non ci sono più filtri. In un contesto in cui anche alcuni giornalisti soffiano sul fuoco, non certo per incoraggiare gesti di violenza fisica o verbale come quello capitato ad Ascierto, ma lavorando quotidianamente sull’allargamento delle distanze fra le tifoserie, alimentando dissapori, differenze quasi ontologiche fra le parti. Noi e loro, i buoni e i cattivi.

Di Nicola Sellitti

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