Vingegaard e l’ombra del doping nel ciclismo
Vingegaard è il 26enne danese che sta disintegrando gli avversari sulle salite del Tour de France. Ma c’è sempre l’ombra del doping che al ciclismo ha prodotto danni devastanti
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Vingegaard e l’ombra del doping nel ciclismo
Vingegaard è il 26enne danese che sta disintegrando gli avversari sulle salite del Tour de France. Ma c’è sempre l’ombra del doping che al ciclismo ha prodotto danni devastanti
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Vingegaard è il 26enne danese che sta disintegrando gli avversari sulle salite del Tour de France. Ma c’è sempre l’ombra del doping che al ciclismo ha prodotto danni devastanti
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Vingegaard è il 26enne danese che sta disintegrando gli avversari sulle salite del Tour de France. Ma c’è sempre l’ombra del doping che al ciclismo ha prodotto danni devastanti
Essere scettici è ormai un processo automatico. Lo riconosce lo stesso Jonas Vingegaard, il 26enne danese che sta disintegrando gli avversari sulle salite del Tour de France. I danni prodotti dal doping al ciclismo nei decenni passati sono stati devastanti, invasivi. Hanno liofilizzato la passione degli appassionati, convinto la maggior parte di sportivi e non che il motore in realtà è sempre truccato, anche quando il corridore risulta “pulito”. Ecco perché nel racconto dello straordinario Tour del ciclista danese – già vincitore della corsa nel 2022 – c’è sempre una marcia in meno nella celebrazione, nell’esaltazione del gesto atletico. Esiste quel dubbio, si procede con i piedi di piombo, anche in presenza di un campione, come in questo caso, che potrebbe dominare sulla strada per diversi anni.
E se poi salta fuori che è dopato? Il timore purtroppo resiste. Vingegaard ha vinto il Tour lo scorso anno a 42 kmh di media, andando più forte di Lance Armstrong nell’edizione 2005, una delle edizioni macchiate dall’uso di sostanze proibite del corridore texano. In questa edizione sta infliggendo distacchi spaziali agli avversari: lo sloveno Pogacar è a oltre sette minuti, il terzo in classifica oltre i dieci minuti. Distacchi alla Armstrong, alla Miguel Indurain. In salita sembra una moto: rispetto ad Armstrong mostra una frequenza di pedalata inferiore, ma la potenza espressa sui pedali lascia senza parole.
L’incubo doping nel ciclismo, in generale nello sport, è qualcosa di corrosivo nella mente di chi segue. C’è il timore di essere presi in giro, di perdere un altro pezzetto di fiducia nella competizione pulita, nelle espressioni di fatica estrema di chi si arrampica su vette con pendenze che tolgono il fiato.
Sul danese sono circolate già alcune voci, lui si è giustamente difeso perché sinora mai nulla è emerso, non ha mai saltato un test antidoping e pare che il suo punto forte sia il VO2max, ovvero il massimo volume di ossigeno consumato in un minuto in millimetri. Meglio di Vingegaard ha fatto solo Oskar Svendsen, ex ciclista norvegese che nel 2012 fece registrare 97.5 ml/minuto contro i 97 del campione del Tour. Leggende del passato non si sono avvicinate a questa soglia, inoltre Vingegaard, testato già dall’antidoping al Tour, si è preparato per la corsa francese con tre giorni a settimana sulla bici da cronometro, bici e materiali scelti ad hoc per il percorso, tre ricognizioni con test. Sette mesi di preparazione, un lavoro massacrante. Per questo motivo merita di essere creduto e raccontato come merita. Sperando poi di non doversene pentire. Per l’ennesima volta.
di Nicola Sellitti
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