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40 anni Mac

I 40 anni del Mac, il computer che cambiò le regole del gioco

In pochi per i 40 anni del Mac anno ricordato che è stato uno spot a segnare l’avvio del mito
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I 40 anni del Mac, il computer che cambiò le regole del gioco

In pochi per i 40 anni del Mac anno ricordato che è stato uno spot a segnare l’avvio del mito
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I 40 anni del Mac, il computer che cambiò le regole del gioco

In pochi per i 40 anni del Mac anno ricordato che è stato uno spot a segnare l’avvio del mito
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In pochi per i 40 anni del Mac anno ricordato che è stato uno spot a segnare l’avvio del mito

In queste ore si moltiplicano i ricordi sul quarantennale del Mac. Senza dubbio è stato un pezzo di storia in movimento: il computer con il mouse, considerato ovviamente una diavoleria per l’epoca, poi il cestino, la scrivania, le icone, le finestre. Il linguaggio del pc che diventava patrimonio comune. Una rivoluzione, appunto, generata da quel genio di Steve Jobs – presentato in una scuola pubblica di Cupertino – quando il mondo ancora non conosceva Steve Jobs: vestito bianco e farfallino verde, presentò al mondo il computer che salutava dicendo “Hello”. Apple ha venduto Mac per 30 miliardi di dollari nel 2023 ed è andata anche in calo del 30%. E tutto è partito da quella semplice interfaccia da nove pollici del 1984.

In pochi però hanno ricordato che è stato uno spot a segnare l’avvio del mito del Mac. Allora negli Stati Uniti la tv era la sola chiave per costruire un sogno e venderlo a tutti. Una lezione che stava prendendo corpo anche in Italia, con il boom delle reti private e il decollo delle reti berlusconiane.

Per Apple è stato prodotto uno spot ancora più iconico – se possibile – di quello girato da Spike Lee e Michael Jordan che ha edificato il mito della Nike e dell’ex fenomeno dei Chicago Bulls. Per la clip del Macintosh, il marchio della Mela si affidò a Ridley Scott, la mente del blockbuster per eccellenza di quel decennio, ‘Blade Runner’, realizzato due anni prima, prima ancora di Alien (1979). Scott aveva diretto in precedenza oltre duemila spot tv. L’ispirazione venne dall’omonimo romanzo – un capolavoro – di George Orwell e fu presentato durante la pausa pubblicitaria del Super Bowl, la finale del campionato di football Nfl. Lo spot aveva come protagonista un’atleta che gettava un martello contro l’immagine tv a schermo gigante di un dittatore, il Grande Fratello. E se nello spot del Mac c’era la mano di uno dei registi più cool di Hollywood degli anni ‘80, viene alla mente che pure dalle nostre parti quello è stato l’ultimo periodo in cui le pubblicità, poi denominate spot, sono state davvero iconiche, oltre che spensierate, senza generare critiche, interrogazioni o processi, in assenza dei social. C’era un racconto dietro quei 30-40 secondi, assieme alla volontà di incidere quel prodotto nella mente dei consumatori. Dalla Coca Cola a Natale alla ‘Milano da bere” dell’Amaro Ramazzotti, poi c’è stato “Michele” del whisky Glen Grant, il mitico “Cinghiale, Il Grande Pennello”. E ancora, il “dove c’è Barilla, c’è casa” o “il provare per credere” di Aiazzone. Non saranno costati quanto la clip di Scott e Jobs, ma in chi, ricordandoli, non monta l’effetto nostalgia?
di Nicola Sellitti 

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