Gennaro Varriale, lo Zuckerberg italiano
Gennaro Varriale, lo Zuckerberg italiano
Gennaro Varriale, lo Zuckerberg italiano
Gennaro Varriale, ‘ragazzo’ napoletano cresciuto al Vomero, dice di avere 50 anni. Ne dimostra dieci in meno e il merito, secondo lui, è del lavoro che fa: l’ingegnere informatico. «Quando uno fa ciò che gli piace, resta sempre un po’ bambino» scherza Varriale, nome ai più sconosciuto ma considerato dagli esperti un guru del web. Buzzoole, l’azienda che ha fondato nel 2013, ha rivoluzionato il mondo del digital marketing e se oggi esistono tanti influencer il merito (o la colpa, a seconda dei punti di vista) è anche suo. Per diversi anni ha registrato fatturati a tripla cifra e quattro anni fa è stata individuata dal “Financial Times” tra le prime venti aziende in Europa con il più elevato tasso di crescita. Oggi vanta sedi anche a Londra e New York.
Tutto questo non accadeva a Milano né a Roma ma alle pendici del Vesuvio, un’area che senza esagerazioni può essere definita la Silicon Valley italiana. Basti pensare al successo di “Fanpage” o al fatto che sempre la Campania sia stata scelta come sede italiana della Apple Developer Academy, del campus di Novartis e dell’Aerotech Academy. I migliori sviluppatori sembrano concentrarsi tutti lì e Varriale è tra questi. Nel 2012 sviluppò Pingram, un’app che permetteva di guardare Instagram anche da pc quando ancora si poteva consultare soltanto da mobile. Diventò virale e cominciarono a chiamarlo da tutto il mondo.
Ma come ogni favola che si rispetti, non poteva mancare il colpo di scena. Lo Zuckerberg nostrano ha infatti deciso di lasciare la propria “creatura” per fare un salto nel buio: «Non so ancora cosa farò ma so che a Buzzoole avevo già dato tutto quello che potevo dare». Un lusso che naturalmente non tutti si possono permettere ma che richiede, comunque, una dose di coraggio non scontata. «Cosa vedo nel mio futuro? Ho già in testa alcuni modelli matematici per fare qualcosa di carino con l’intelligenza artificiale. Dobbiamo pensare all’AI come a un bambino di 5 anni che però ha accesso a tutte le informazioni del mondo e da queste impara. Pensiamo a modelli di persone che possono fare customer care oppure gestire un primo colloquio di lavoro. Chi ci fa le domande ha fattezze umane, parla un linguaggio naturale e, anche se non prova dei sentimenti, ci capisce». Detta così può sembrare inquietante ma difficilmente si potrà evitare. Ciò che conta è arrivare preparati all’appuntamento.
di Ilaria CuzzolinLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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