Il 5G per ora è una grande illusione
Sembrava 5G, ma non lo era. Lo hanno scoperto di recente migliaia di utenti britannici attraverso SignalTracker

Il 5G per ora è una grande illusione
Sembrava 5G, ma non lo era. Lo hanno scoperto di recente migliaia di utenti britannici attraverso SignalTracker
Il 5G per ora è una grande illusione
Sembrava 5G, ma non lo era. Lo hanno scoperto di recente migliaia di utenti britannici attraverso SignalTracker
Sembrava 5G, ma non lo era. Lo hanno scoperto di recente migliaia di utenti britannici attraverso SignalTracker, un’app che promette di misurare la reale qualità della connessione mobile. Il risultato? Quasi il 40% degli smartphone che mostrano l’icona 5G sta in realtà navigando su reti 4G. Una sorta di illusione digitale: i telefoni rilevano una cella compatibile con il sistema più avanzato e ne mostrano il simbolo sullo schermo, anche se nella realtà non ricevono quel tipo di servizio. È un po’ come vedere l’insegna luminosa di un ristorante senza riuscire a entrare.
Soltanto pochi dispositivi sono in grado di distinguere visivamente, con un’icona diversa, una connessione davvero di ultima generazione. Eppure, mentre ancora facciamo i conti con la distribuzione a macchia di leopardo del 5G, l’industria guarda già alla versione successiva: il 6G. Dietro le quinte, la prossima rivoluzione è già iniziata. Non si tratta unicamente di velocità, ma di potere strategico sulle frequenze. In Europa si sta discutendo l’uso della porzione di spettro compresa tra 6,425 e 7,125 GHz. Una riserva preziosa per il futuro delle connessioni.
Chi la vuole? Due mondi molto diversi. Da un lato gli operatori che forniscono servizi di comunicazionewireless – come i telefoni cellulari e l’accesso a Internet tramite rete mobile – i quali chiedono che questa banda venga destinata alle reti mobili per potenziare il 5G e sviluppare il futuro standard 6G, la connessione ultra-veloce che promette download istantanei, latenza nulla e Internet of Things (l’interconnessione fra oggetti fisici) ovunque. Dall’altro lato ci sono gli Internet provider e il mondo del wi-fi, che vogliono usarla per migliorare la connettività al chiuso, cioè per esempio nelle case, negli uffici, negli ospedali.
La posta in gioco è alta: si tratta di scegliere se rafforzare la leadership europea nel mobile o puntare su un wi-fi più efficiente per una connettività domestica stabile. Il rischio? Che la politica rallenti la corsa alla tecnologia o – peggio – prenda la direzione sbagliata. Per i colossi delle telecomunicazioni è fondamentale non perdere tempo: i primi a muoversi sul 6G detteranno le regole globali nei prossimi decenni. E mentre aziende e istituzioni fanno pressioni su Bruxelles, il cittadino resta spesso spettatore inconsapevole. Ancora oggi, in molte zone rurali o periferiche d’Europa (Italia inclusa), la copertura reale del 5G è tutt’altro che omogenea. Eppure i telefoni mostrano quell’icona come fosse un badge di garanzia. Un’illusione digitale che maschera un’infrastruttura ancora in divenire.
Il tema non riguarda unicamente la tecnologia, ma anche le aspettative. Secondo uno studio europeo, soltanto una parte degli utenti sperimenta davvero le potenzialità promesse. E questo vale anche nei Paesi a forte penetrazione digitale. In un mondo che corre verso il 6G, ci si domanda se stiamo davvero usando al massimo ciò che già abbiamo. La connettività del domani non garantisce solamente velocità da sogno, ma anche nuovi paradigmi: intelligenze artificiali sempre connesse, auto autonome in costante comunicazione, visori di realtà aumentata che funzionano senza fili. Nel frattempo sarebbe utile chiedersi se il 5G che ci viene promesso sia effettivamente nelle nostre tasche. Perché il progresso non può essere soltanto una promessa. Deve essere, prima di tutto, trasparenza.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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- Tag: tech, telecomunicazioni
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