Il ritardo accumulato nell’automotive
La duplice sfida dell’Unione europea nel settore dell’automotive, sei anni dopo dall’approvazione del Green Deal
Il ritardo accumulato nell’automotive
La duplice sfida dell’Unione europea nel settore dell’automotive, sei anni dopo dall’approvazione del Green Deal
Il ritardo accumulato nell’automotive
La duplice sfida dell’Unione europea nel settore dell’automotive, sei anni dopo dall’approvazione del Green Deal
La duplice sfida dell’Unione europea nel settore dell’automotive, sei anni dopo dall’approvazione del Green Deal
Le ambiziose direttive europee sul clima non hanno fatto buoni produttori di auto, allo stesso modo in cui pessimi produttori di auto non possono essere salvati da direttive che si vorrebbero più ragionevoli. Nel settore automotive l’Unione si ritrova, sei anni dopo l’approvazione del Green Deal, a sostenere una duplice sfida: da un lato una filiera industriale obsoleta sul piano tecnologico e immobile rispetto al ritmo della transizione elettrica; dall’altro lato, invece, cresce il richiamo delle destre per una riconciliazione con la realtà, il che può significare o una revisione della tempistica prevista dal Green Deal e quindi spostare nel tempo l’abbandono del motore endotermico previsto per il 2035, oppure favorire nuove fusioni fra i produttori dell’auto, così da accrescerne la competitività rispetto ai colossi cinesi, tenere ferme le scadenze sulle emissioni, rendere meno onerosa la transizione elettrica e sostenerla con un fondo ad hoc. Una scelta nazionalistica dalla prima soluzione, un rinnovato slancio europeista dalla seconda.
La strada per l’inferno è sempre lastricata di buone intenzioni e l’Unione e i suoi costruttori ne hanno di ottime. In quell’inferno, però, l’automotive ci è entrata per la conclamata incapacità dei suoi ceo e soltanto in parte per le rigide direttive. Si presta a qualche ilarità, per esempio, la notizia riportata dal “Financial Times”secondo cui i produttori europei di auto rischiano di sborsare centinaia di milioni di euro ai produttori cinesi di veicoli elettrici per l’acquisto di crediti di carbonio, nel tentativo di evitare le pesanti multe previste dalle norme Ue sulle emissioni per il 2025. Il quotidiano britannico osserva che in base alla normativa europea le case automobilistiche sono obbligate a ridurre le emissioni medie di CO2 delle loro flotte a 93,6 grammi per chilometro entro il 2025 e le aziende che supereranno questo limite saranno soggette a una multa di 95 euro per ogni grammo di CO2 in eccesso, moltiplicata per ogni auto venduta. Secondo gli analisti interpellati dal “Financial Times”molte case automobilistiche dell’Ue si trovano di fronte a una scelta: accelerare la vendita di veicoli elettrici abbassandone i prezzi, pagare miliardi di euro di sanzioni o acquistare crediti di carbonio da produttori meno inquinanti. Fra i principali beneficiari di questa strategia ci sono i produttori cinesi come Byd, che vantano una solida posizione nel mercato europeo dei veicoli elettrici e dispongono di ampi pool di crediti da vendere.
Acquistare crediti di carbonio dalla Cina, cioè dal concorrente più spietato che ha invaso il mercato europeo dell’auto, e apprendere nello stesso tempo che la generazione termoelettrica cinese – alimentata principalmente a carbone – è aumentata nel 2024 dell’1,5%, significa quanto meno essere rimasti imbambolati di fronte a una sfida dal cui esito dipende la sopravvivenza di uno dei settori decisivi per l’occupazione e l’innovazione tecnologica. Aveva ragione Lenin: forniamo agli avversari la corda a cui possono impiccarci.
L’Europa è il Continente che si sta riscaldando più di altri, con un aumento delle temperature doppio rispetto alla media globale degli anni Ottanta, dovuto anche all’Artico in scioglimento. Rispettare gli obiettivi climatici fissati da Bruxelles non significa piegarsi ai diktat della solita burocrazia ottusa, ma semplicemente riconoscere dove sta il buon senso.
L’idea di un fondo europeo per sostenere l’occupazione nel comparto automotive e rendere socialmente tollerabile un’accelerazione verso la transizione elettrica è stata ventilata da più parti, ma non sembra essere all’ordine del giorno. Dovrà sbrigarsi Von der Leyen e inserire risposte credibili nel Clean Industrial Dealatteso per fine febbraio. Non è chiaro quali misure andrà a proporre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Se confermerà la posizione puramente rivendicativa (spostare oltre il 2035 la fine del motore endotermico) o se chiederà uno scatto in avanti, ovvero emettere debito comune per rilanciare il comparto e favorire nuove fusioni fra i costruttori.
Di Massimo Colaiacomo
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