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Internet e AI, questi sconosciuti

Quasi un italiano su 10 non ha mai usato internet in vita sua: non perché non ne abbia desiderio, ma perché non ne ha le possibilità

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Internet e AI, questi sconosciuti

Quasi un italiano su 10 non ha mai usato internet in vita sua: non perché non ne abbia desiderio, ma perché non ne ha le possibilità

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Internet e AI, questi sconosciuti

Quasi un italiano su 10 non ha mai usato internet in vita sua: non perché non ne abbia desiderio, ma perché non ne ha le possibilità

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Quasi un italiano su 10 non ha mai usato internet in vita sua: non perché non ne abbia desiderio, ma perché non ne ha le possibilità

Si parla sempre dell’uso eccessivo di Internet come di un problema capace di sfociare addirittura in una dipendenza patologica. Al contrario, il mancato utilizzo della Rete è un argomento quasi mai trattato. Eppure anche questo rappresenta un problema a tutti gli effetti. Essere connessi non è sinonimo solo di social networkstreaming e videogiochi. Internet è sviluppo, accesso a delle opportunità impensabili fino a qualche decennio fa. È progresso, qualcuno direbbe che è partecipazione. Impossibile dargli torto.

È per questo che deve preoccupare il dato appena emerso da una recente ricerca di Will Media secondo cui quasi un italiano su 10 non ha mai usato il web in vita sua: non perché non ne abbia desiderio, ma perché non ne ha le possibilità. Sembra incredibile in un momento storico in cui la maggior parte delle nostre attività e azioni – anche le più semplici, come l’iscrizione a scuola dei propri figli – avviene attraverso il cellulare o il pc. Ancora più preoccupante è quanto evidenziato da uno studio di Eurostat che ha preso in esame 196 regioni europee, rilevando che ben 18 hanno registrato un calo nell’utilizzo giornaliero di Internet. Tra queste spiccano Calabria e Sicilia, che già si posizionavano tra le prime dieci con la più bassa percentuale di utenti.

Pochi utenti, dunque. E pure sempre meno connessi. In un momento in cui si fa un gran parlare di autonomia differenziata, la notizia non può che accentuare il già noto divario tra Nord e Sud. In Calabria il 68% della popolazione tra i 16 e i 74 anni accede regolarmente a Internet a fronte però di un 18,7% che non ci ha nemmeno mai provato. Non è solo una questione di mancanza di competenze, ma anche di infrastrutture. Eppure gli investimenti necessari sarebbero minimi rispetto agli incommensurabili vantaggi derivanti dal punto di vista sociale ed economico. Basti pensare a PagoPa, Spid, home banking, al fascicolo sanitario elettronico e a molti altri servizi della Pubblica amministrazione fruibili digitalmente e su cui l’Italia racconta (a sé stessa e all’estero) di essere all’avanguardia, salvo costringere i cittadini a un tragicomico raddoppio delle incombenze rispetto all’era analogica. Insuperato caso di scuola, la trafila per il rilascio dei passaporti diventata un’inconcepibile via crucis.

Del resto rimanere indietro sul piano della tecnologia significa condannarsi alla mediocrità, restare piccoli. Il discorso è ancora più vero quando si parla di aziende che sembrano dimostrarsi troppo scettiche e disinformate sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale. Se al pastore calabrese riconosciamo le dovute attenuanti del caso, lo stesso non possiamo fare con i manager a capo di aziende che, se non si metteranno al passo coi tempi, sono condannate all’oblio. Sempre secondo i dati Eurostat appena pubblicati, l’Italia occupa solo la 20esima posizione (su 27 Stati dell’Unione europea) per l’utilizzo dell’AI. Soltanto il 5% delle aziende italiane con 10 o più dipendenti sta infatti attualmente utilizzando tecnologie AI addicted, quando la media europea è dell’8%, con la Danimarca in cima alla classifica (15,2%). Peggio di noi fanno solo Lituania, Cipro, Lettonia, Grecia e i Paesi dell’Est. 

Il campo in cui l’AI è più utilizzata è quello della sicurezza informatica, seguono la contabilità e il controllo o la gestione finanziaria. Ci sono settori in cui l’intelligenza artificiale avrebbe applicazioni straordinarie, che però non vengono sfruttate minimamente. Vero è che serve prima di tutto regolamentare il settore in maniera capillare, affinché l’ultima novità in campo tecnologico resti un’opportunità in grado di creare nuovi posti di lavoro e non di toglierne. Non un dettaglio secondario.

di Ilaria Cuzzolin

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