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La cybersecurity è anche redditizia

Siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie digitali, ma oggi investire sulla sicurezza di tali attività non solo è utile e necessario ma è anche redditizio.
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La cybersecurity è anche redditizia

Siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie digitali, ma oggi investire sulla sicurezza di tali attività non solo è utile e necessario ma è anche redditizio.
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Siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie digitali, ma oggi investire sulla sicurezza di tali attività non solo è utile e necessario ma è anche redditizio.
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Siamo sempre più dipendenti dalle tecnologie digitali, ma oggi investire sulla sicurezza di tali attività non solo è utile e necessario ma è anche redditizio.
Le tecnologie digitali sono divenute imprescindibili per le attività di imprese, pubbliche amministrazioni e società civile in ragione delle implicazioni di innovazione e di efficienza produttiva nonché per l’affermarsi di nuovi mezzi di comunicazione – social media, blog – attraverso i quali ogni individuo può esercitare la propria libertà di espressione. Il “rovescio della medaglia” di questa trasformazione sociale mostra come, tuttavia, la digitalizzazione dei processi e l’interconnessione degli stessi abbia determinato una grande “superficie di violazione”, ponendo la questione della sicurezza delle attività digitali e, con essa, la necessità di opportuni investimenti. A tal riguardo, il Rapporto 2022 del Clusit (l’Associazione italiana per la sicurezza informatica) segnala 2.049 attacchi gravi rilevati nel 2021 a livello globale (una media di 171 al mese, il dato più alto mai registrato). Nell’86% dei casi si tratta di azioni di cybercrime, in particolare di installazione dall’esterno di software che bloccano l’uso dei dati (ransomware), cui fa seguito la richiesta di un riscatto per rimuovere tali software. La sicurezza dei sistemi informatici costituisce un presupposto imprescindibile per abilitare i servizi digitali prestati dalle pubbliche amministrazioni e dalle imprese nonché i servizi di interesse generale forniti attraverso infrastrutture critiche (trasporti, energia, risorse idriche), nella prospettiva di aumentare il livello di competitività del Paese. Con riguardo agli investimenti in sicurezza, va registrata una maggiore propensione derivante dall’esperienza del lockdown della primavera 2020, periodo in cui milioni di persone hanno iniziato a lavorare dalle proprie abitazioni con dispositivi personali connessi a reti domestiche e con l’ausilio di piattaforme di collaborazione. Permangono tuttavia “sacche di resistenza” a tali investimenti, in particolare nel settore privato (salvo le grandi imprese), in quanto il management non percepisce una capacità di produrre reddito alla stregua degli investimenti indirizzati direttamente sul business. Le politiche pubbliche, più concentrate sugli investimenti in cybersecurity delle pubbliche amministrazioni e delle aziende che forniscono servizi essenziali, dovrebbero estendersi anche a questo segmento. Il resto va rimesso alle attività di formazione e comunicazione, il cui compito è quello di spiegare che anche tali investimenti hanno “effetti di rendimento”, riconducibili da un lato alla categoria dei costi evitabili (legati alle mancate perdite) e dall’altro ai benefici connessi alla percezione di affidabilità dell’azienda e all’instaurarsi di un clima di fiducia negli stakeholder con cui essa è in relazione. di Giovanni Crea

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