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La meraviglia del James Webb Space Telescope

Neppure nelle rappresentazioni artistiche dell’universo eravamo mai riusciti a realizzare qualcosa di paragonabile alle immagini ottenute con il telescopio spedito nello spazio
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La meraviglia del James Webb Space Telescope

Neppure nelle rappresentazioni artistiche dell’universo eravamo mai riusciti a realizzare qualcosa di paragonabile alle immagini ottenute con il telescopio spedito nello spazio
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La meraviglia del James Webb Space Telescope

Neppure nelle rappresentazioni artistiche dell’universo eravamo mai riusciti a realizzare qualcosa di paragonabile alle immagini ottenute con il telescopio spedito nello spazio
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Neppure nelle rappresentazioni artistiche dell’universo eravamo mai riusciti a realizzare qualcosa di paragonabile alle immagini ottenute con il telescopio spedito nello spazio
La bellezza esiste e non ha bisogno di noi per mostrarsi. Quello che l’uomo ha saputo fare sin dalla notte dei tempi, con mirabile e crescente capacità, è fissarla per chi verrà dopo. È la storia delle arti espressive e figurative, una continua evoluzione che ricorda l’essere umano al suo meglio. Merita di entrare in questo straordinario percorso quanto abbiamo visto e vedremo grazie al James Webb Space Telescope, il magnifico strumento d’osservazione che l’uomo ha inviato nello spazio e oggi si trova a quasi un milione e mezzo di chilometri dalla Terra. Tecnicamente parlando, uno specchio d’osservazione di 6 metri di diametro, in grado di lavorare – grazie ai suoi sistemi criogenici – ai -217 °C dello spazio profondo. Una meraviglia della tecnologia costata 10 miliardi di dollari, che dovremmo benedire uno a uno. E pensare che c’è chi ha storto il naso per l’eccessivo impegno economico, quando anche solo le prime immagini realizzate dal telescopio spaziale fanno letteralmente impallidire qualsiasi altra fotografia mai ottenuta con le osservazioni terrestri o con il telescopio orbitale Hubble, apparso di colpo a un passo dal pensionamento. Neppure nelle rappresentazioni artistiche dell’universo eravamo mai riusciti a realizzare qualcosa di paragonabile alle immagini ottenute con il telescopio spedito nello spazio. Le galassie raggruppate (ciascuna delle quali casa di migliaia di stelle e di un numero indefinito di sistemi planetari come il nostro) e la struggente Nebulosa della Carena che qui vedete nell’immagine diffusa dalla Nasa, sono di una bellezza quasi incommentabile. Al punto, come accennavamo, che l’uomo – pur con tutta la sua fervida immaginazione – quando ha provato a rappresentare ciò che poteva solo ipotizzare non è mai riuscito a raggiungere una simile perfezione. Si resta felicemente inebetiti. Sono immagini che alla riapertura dell’anno scolastico andrebbero portate in tutte le classi, spiegando ai ragazzi come siano state ottenute ma soprattutto spingendoli (oseremmo dire, sfidandoli) a provare il senso di meraviglioso smarrimento che Giacomo Leopardi riuscì a fissare ne “L’infinito”. Guardare quella nebulosa, istantanea di ciclopici eventi risalenti fino a 13 miliardi di anni fa – poco dopo l’atto costitutivo dell’universo nel Big Bang, secondo le teorie comunemente accettate – è come affacciarsi sull’assoluta irrilevanza dell’uomo. Il James Webb Space Telescope cattura il passato e non può fare altro, attendendo che la luce compia il suo viaggio di centinaia di migliaia di anni o addirittura miliardi. E noi siamo qui, convinti di poter dominare le leggi della natura e dell’universo: quanta arroganza. Eppure, è stato un uomo a spiegarci la relatività del concetto di spazio-tempo, fino a ridurlo a una semplice convenzione. Sono stati donne e uomini a realizzare questa meraviglia della scienza e della tecnologia. Siamo noi che possiamo toccare il cielo con un dito o compiere le peggiori e più ripugnanti azioni. Sempre noi. Guardiamole e riguardiamole quelle superbe immagini, attendiamo con ansia le prossime, mentre il James Webb Space Telescope è solo all’inizio del suo lavoro. Approfittiamone per concederci un attimo di riflessione sul valore e sul peso delle scelte, perché in fin dei conti sarà sempre l’uomo – come singolo e comunità – a definire il proprio futuro. A scegliere fra bellezza, progresso e vizi autodistruttivi. L’universo, il tempo, lo spazio non hanno bisogno di noi, ma noi senza grandi aspirazioni siamo ben poca cosa.   Di Fulvio Giuliani

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