Basi di lancio in casa nostra
Conto alla rovescia per lanci spaziali dall’Italia, grazie a una partnership di primo piano con gli Stati Uniti
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Conto alla rovescia per lanci spaziali dall’Italia, grazie a una partnership di primo piano con gli Stati Uniti
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Conto alla rovescia per lanci spaziali dall’Italia, grazie a una partnership di primo piano con gli Stati Uniti
Conto alla rovescia per lanci spaziali dall’Italia, grazie a una partnership di primo piano con gli Stati Uniti
Conto alla rovescia per decolli spaziali dall’Italia, grazie a una partnership di primo piano con gli Stati Uniti. Il 15 ottobre, con una dichiarazione congiunta a margine del 75esimo International Astronautical Congress di Milano, i due Paesi hanno presentato al mondo l’intenzione di cooperare sul piano diplomatico, militare e commerciale. Si parte dall’impiego dello Spazio per scopi difensivi, tema quanto mai attuale in uno scenario complesso e instabile. In questo l’Italia occupa già una posizione di tutto rispetto: fa parte del ristretto club di dieci Paesi che possiedono satelliti militari, piazzandosi in sesta posizione a livello globale e seconda in Europa, con dieci piattaforme attive in orbita. Nel 2020 è nato il Comando delle Operazioni Spaziali (Cos) e dallo scorso anno un ufficiale delle nostre Forze armate è distaccato in maniera permanente allo U.S. Space Command, per garantire un migliore collegamento con Washington.
L’Italia, pur vantando un ruolo di primissimo piano nell’esplorazione nell’industria spaziale mondiale (nostra è la progettazione dei razzi Vega e Vega-C dell’Agenzia Spaziale Europea e le italiane Thales Alenia Space e Avio producono decine di satelliti e componenti per Nasa e Esa), non è autonoma nella messa in orbita delle proprie tecnologie. Molti degli ultimi veicoli sono stati lanciati dall’americana SpaceX, a riprova dell’importanza di un costante dialogo tra le due sponde dell’Atlantico.
La dichiarazione di Milano mira a rafforzare la cooperazione sui piani tecnologico e strategico. Sul primo fronte gli Stati Uniti guardano con favore all’accordo firmato a gennaio dai vertici della Difesa e dell’Agenzia Spaziale Italiana per lo sviluppo di nuovi satelliti dual-use, per sostituire i quattro mezzi più vecchi della costellazione Cosmo-Skymed. Sul piano strategico, Roma e Washington spingono invece per una maggiore centralità della dimensione spaziale nei rapporti fra alleati Nato e partner esterni. Soprattutto considerata la minaccia crescente di Russia e Cina, che insieme contano 267 satelliti militari (Pechino ne lancia quasi uno a settimana) e stanno sviluppando avanzate capacità di distruzione dei sistemi avversari.
A stupire è però un altro passaggio della dichiarazione, in cui si cita l’Accordo di Protezione tecnologica in discussione tra le due Capitali. Si tratta di un documento necessario per consentire ad aziende americane di effettuare lanci spaziali fuori dagli Stati Uniti. Significa che Roma intende accogliere imprese d’oltreoceano sul suo territorio, per poi permettere decolli di razzi. È un fatto storico: l’Italia si apre al mondo della space economy dal punto di vista non soltanto produttivo ma anche nell’accesso vero e proprio allo Spazio.
E dove sarà la Cape Kennedy tricolore? Qualcuno cita la Sardegna, ma probabilmente dobbiamo spostare lo sguardo molto più a Sud. In Kenya, a Malindi, dove dal 1964 esiste il Centro Spaziale “Luigi Broglio” dell’Agenzia Spaziale Italiana. Situato a cavallo dell’Equatore (la posizione migliore per i lanci spaziali), il sito ospitò dal 1966 al 1988 ventitré decolli tutti italiani. Oggi opera come centro di trasmissione, ma potrebbe essere un ottimo sito per l’accesso allo Spazio dei Paesi africani, cui si fa esplicito riferimento nella dichiarazione di Milano. Non è un caso, forse, che a inizio ottobre il ministro Urso abbia visitato il centro. Presto, se tutto andrà bene, l’Italia potrebbe ospitare lanci spaziali ripartendo da dove tutto era iniziato, 60 anni fa.
di Umberto Cascone
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- Tag: politica
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