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L’Europa e la grande retromarcia digitale: quando la burocrazia si arrende alla realtà (e ai miliardi)

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L’Europa e la grande retromarcia digitale: Bruxelles allenta la morsa su GDPR e Intelligenza Artificiale. Meno cookie banner e più dati per addestrare gli algoritmi: la scommessa disperata per non sparire dalla mappa dell’innovazione

L'Europa e la grande retromarcia digitale

L’Europa e la grande retromarcia digitale: quando la burocrazia si arrende alla realtà (e ai miliardi)

L’Europa e la grande retromarcia digitale: Bruxelles allenta la morsa su GDPR e Intelligenza Artificiale. Meno cookie banner e più dati per addestrare gli algoritmi: la scommessa disperata per non sparire dalla mappa dell’innovazione

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L’Europa e la grande retromarcia digitale: quando la burocrazia si arrende alla realtà (e ai miliardi)

L’Europa e la grande retromarcia digitale: Bruxelles allenta la morsa su GDPR e Intelligenza Artificiale. Meno cookie banner e più dati per addestrare gli algoritmi: la scommessa disperata per non sparire dalla mappa dell’innovazione

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C’è un gesto che compiamo meccanicamente decine di volte al giorno, un riflesso condizionato che unisce frustrazione e inutilità: cliccare su “Accetta tutti i cookie” appena atterriamo su un sito web. Non leggiamo nulla, non ci interessa nulla, vogliamo solo togliere di mezzo quella finestra fastidiosa per leggere l’articolo o comprare un paio di scarpe.

Quel click è diventato il simbolo perfetto del fallimento dell’approccio europeo alla tecnologia: una montagna di burocrazia formale che ha generato zero consapevolezza reale e tanta, tantissima noia.

Ora, dopo anni passati a ergerci a “faro morale” del mondo digitale, l’Europa ha sbattuto le palpebre. La notizia che arriva da Bruxelles ha il sapore amaro della resa, ma anche quello necessario del pragmatismo: la Commissione sta preparando un “Digital Omnibus” per ammorbidire le protezioni del suo intoccabile GDPR e ritardare l’applicazione delle regole più severe sull’Intelligenza Artificiale.

Cosa è successo? Semplice: ci siamo accorti che mentre noi scrivevamo regolamenti perfetti su come non usare la tecnologia, gli altri la stavano costruendo.

Il mercato dell’IA è dominato da colossi americani e cinesi. DeepSeek, Google, OpenAI. L’Europa? Non pervenuta, se non per le multe che commina. La pressione delle Big Tech, il ritorno di Donald Trump e, non ultimo, il realismo brutale del rapporto Draghi, hanno messo Bruxelles di fronte allo specchio.

Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva della Commissione, l’ha detto senza troppi giri di parole: le nostre startup sono “trattenute da strati di regole rigide”. Tradotto dal politichese: ci siamo legati le mani da soli e ora stiamo affogando.

Le nuove proposte sono un cambio di paradigma radicale. Primo: basta con l’ossessione dei cookie banner per i cookie “non a rischio”. Finalmente, la gestione passerà (come doveva essere dall’inizio) alle impostazioni del browser. Secondo, e qui il tema scotta: le aziende potranno usare dati personali, seppur pseudonimizzati, per addestrare le loro intelligenze artificiali. Un tabù che cade nel nome della “crescita economica”. Terzo: l’AI Act, la legge simbolo varata solo pochi mesi fa, viene annacquata. Le regole per i sistemi ad “alto rischio” slittano a data da destinarsi, o meglio, a quando “saranno disponibili gli standard necessari”.

È una sconfitta per la privacy? Sulla carta, sì. Le associazioni per i diritti civili sono già sul piede di guerra, parlando di svendita dei diritti fondamentali.

Ma serve onestà intellettuale: quel modello di privacy “burocratica” ci ha davvero protetto? O ha solo creato un ecosistema digitale in cui le piccole aziende europee muoiono soffocate dalla compliance, mentre i giganti americani pagano stuoli di avvocati e continuano a fare (quasi) ciò che vogliono?

L’Europa ha provato a esportare il suo modello normativo come se fosse un prodotto di lusso: il “Brussels Effect”. L’idea era che, impostando standard altissimi, il mondo si sarebbe adeguato. Il mondo, invece, ha tirato dritto.

Questa retromarcia è il tentativo disperato di rientrare in partita. Sacrifichiamo un po’ di quella purezza normativa per cercare di non diventare, tecnologicamente parlando, una colonia digitale di Stati Uniti e Cina.

Non è una scelta nobile, è una scelta di sopravvivenza. Perché non puoi regolare un futuro che non sei in grado di costruire. E a volte, per quanto faccia male ammetterlo, togliere un divieto serve più di aggiungerne tre.

Di Luca Cavallini

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