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Libertà, algoritmi e provocatori

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Libertà, algoritmi e provocatori. Il caso dell’intelligenza artificiale di X, Grok, è tutto tranne che un momento di follia dell’algoritmo

Libertà, algoritmi e provocatori

Libertà, algoritmi e provocatori

Libertà, algoritmi e provocatori. Il caso dell’intelligenza artificiale di X, Grok, è tutto tranne che un momento di follia dell’algoritmo

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Libertà, algoritmi e provocatori

Libertà, algoritmi e provocatori. Il caso dell’intelligenza artificiale di X, Grok, è tutto tranne che un momento di follia dell’algoritmo

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La comunicazione digitale assomiglia purtroppo sempre più a una trappola a più livelli. Come nei giochi di ruolo della nostra infanzia, quelli riportati in auge dal successo planetario di una serie come Stranger Things, in cui i protagonisti devono affrontare mostri e incubi via via più forti e complessi, quanto più ci si addentra nell’avventura.

Tornando alla realtà, se si prova a essere protagonisti del dibattito pubblico via social, il singolo utente – blandito da pompose promesse di libertà assoluta di parola – viene sospinto lungo un sentiero preordinato. Proprio come nei dungeon delle avventure di cui sopra, sono rabbia, esagerazioni e politicamente scorretto gli elementi base e – purtroppo – ormai sempre più familiari. Scarseggiano gli eroi positivi della fantasia, in verità.

Troppo comodo prendersela con l’algoritmo, come se fossimo davanti a un’intelligenza artificiale in stile Matrix, indipendente da qualsiasi programmazione o facoltà di indirizzo saldamente nelle mani dei padroni del vapore. Il caso dell’intelligenza artificiale di X, Grok, “impazzita” al punto da esaltare il ruolo di Adolf Hitler come difensore dell’uomo bianco perseguitato è tutto tranne che un momento di follia dell’algoritmo. È un punto di caduta, di sicuro sfuggito di mano ma non per questo inconsapevole, di una programmazione lucida.

Volta a indirizzare le risposte dell’Ai lì dove il capo vuole. E questo “dove” è davanti ai nostri occhi: basterà ricordare l’entusiastico appoggio di Elon Musk a tutti i movimenti di estrema destra o cripto nazisti in giro per l’Europa.
Liberandosi del fastidioso ingombro della legge e dei limiti imposti da reati come la diffamazione o la calunnia al poter distruggere la vita altrui.

Pensare di lasciare mezzi di questa potenza e pervasività al di fuori di ogni controllo significherebbe condannare a lenta agonia qualsiasi sistema democratico.
Per essere chiari, qui siamo ben oltre il tema già di per sé cruciale della raccolta e dell’uso dei dati personali, siamo nella sfera della formazione e del controllo del pensiero.

Volete una prova? Esistono (sempre più numerosi) i provocatori di professione del nemico di turno. Per estenuarlo, portarlo al punto di ebollizione e farlo esplodere.
È gente che abbonda nell’universo social e al riparo degli algoritmi ha scovato un motivo della propria esistenza. L’onnipresenza social, la forza indiscutibile e senza dubbio affascinante della comunicazione digitale li ha fatti debordare ben oltre i confini di Instagram, TikTok o Facebook.

Hanno conquistato seggi in Parlamento, pesano nei partiti. Hanno solo nemici, perlopiù immaginari e di comodo e degli avversari non sanno che farsene perché in quel caso toccherebbe parlare, ragionare e argomentare. Azioni all’evidenza fuori dalla loro portata.
Non ci rassegniamo a lasciare questi spazi di libero confronto nelle loro mani.
Ci sono e ci saranno, ma anche noi.

Di Fulvio Giuliani

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