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Quanto ci costa una mail non cancellata?

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Mandare messaggi, scaricare app, tenere archiviate mail, magari inutili: sono tutte azioni che hanno un impatto sull’ambiente. Serve consapevolezza digitale, soprattutto nel nuovo mondo post lockdown.

inquinamento digitale

Quanto ci costa una mail non cancellata?

Mandare messaggi, scaricare app, tenere archiviate mail, magari inutili: sono tutte azioni che hanno un impatto sull’ambiente. Serve consapevolezza digitale, soprattutto nel nuovo mondo post lockdown.

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Quanto ci costa una mail non cancellata?

Mandare messaggi, scaricare app, tenere archiviate mail, magari inutili: sono tutte azioni che hanno un impatto sull’ambiente. Serve consapevolezza digitale, soprattutto nel nuovo mondo post lockdown.

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Nel 2025 la sola Information Technology delle imprese genererà un’impronta di carbonio equivalente alle emissioni di 463 milioni di veicoli per anno. Se ne parla poco ma la situazione meriterebbe molta più attenzione. Lo sa bene il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani che, nell’ambito del progetto Cosmopolites, ha evidenziato la questione a 17 mila studenti delle scuole superiori connessi virtualmente. Questo il monito del ministro: “Voi giovani che siete grandi utilizzatori delle piattaforme digitali sappiate che l’intero comparto digitale produce il 4% dell’anidride carbonica planetaria. Per darvi un’idea, l’intero traffico aereo produce il 2% della CO2 globale”. Usare i social inquina, salvare delle foto che non guarderemo mai più nel Cloud anche. Tutto quello che facciamo nel mondo online ha un costo ben preciso per l’ambiente. È vero: le Big Tech hanno un grosso impatto ambientale, ma è anche vero che spesso i consumatori le utilizzino con poca consapevolezza. 

DALLE MAIL AI CLOUD: ECCO L’INQUINAMENTO SILENZIOSO

Chi non ha la mail piena zeppa di messaggi che non ha mai letto e non leggerà mai? Questa semplicissima azione, anzi inazione, ha il suo impatto ambientale: mantenere un file archiviato occupa spazio sui server che, a loro volta, utilizzano energia per l’alimentazione e il raffreddamento. Per contrastare questo problema, negli ultimi anni sono state sviluppate diverse App (come Cleanfox) che, per esempio, ‘riconoscono’ le newsletter inutili e le eliminano automaticamente.  Anche inviare, ovviamente, inquina: un’email di solo testo produce circa 4 grammi di carbonio che diventano 20 con un allegato, fino a un massimo di 50 grammi di CO2 nel caso di più allegati. Il tutto senza considerare l’energia utilizzata dal dispositivo mittente. Se presi singolarmente non sono numeri rilevanti, ma se si considera che mediamente vengono inviate e ricevute più di 300 miliardi di mail ogni giorno, i dati assumono un altro peso. Il singolo messaggio di WhatsApp inquina poco più di una mail di solo testo, con un’alta variabilità a seconda che ci siano o meno gif, emoji e allegati di vario tipo. Protagonisti dell’inquinamento IT sono i data center dove i dati vengono immagazzinati ed elaborati. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia questi rappresentano circa l’1% della domanda mondiale di energia, consumando dalle 10 alle 50 volte più energia per metro quadrato rispetto a un ufficio tradizionale. E il dato è destinato a salire soprattutto dopo il lockdown che ha dato maggiore spinta all’uso del web.

VIETATO DARE LA COLPA ALLA TECNOLOGIA

È chiaro, però, che proprio la digitalizzazione, fortemente incentivata dai Governi negli ultimi anni, sia essa stessa un mezzo per contrastare l’inquinamento: la drastica riduzione dell’uso di carta o la mobilità ridotta come conseguenza dello smart working sono due esempi. Il problema non è mai la tecnologia ma il suo utilizzo inconsapevole. Solo da poco si comincia a parlare di questo tipo di inquinamento. Si potrebbe cominciare inviando meno messaggi inutili, abbassare o comprimere la qualità dei file quando possibile ed eliminare quelli inutili da qualsiasi tipo di cloud per rendere più sostenibile il nostro comportamento sul web. Tutti dobbiamo essere disposti a fare dei sacrifici: la sostenibilità è un tema che riguarda tutti, non solo le aziende. di Giovanni Palmisano

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