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Tetris, il mattoncino che ha costruito la libertà

Storia del Tetris e del suo paradosso: costruire muri per poi distruggerli. Il vero senso di questa storia.

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Storia del Tetris e del suo paradosso: costruire muri per poi distruggerli. Il vero senso di questa storia.

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Storia del Tetris e del suo paradosso: costruire muri per poi distruggerli. Il vero senso di questa storia.

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Storia del Tetris e del suo paradosso: costruire muri per poi distruggerli. Il vero senso di questa storia.

Il Centro di calcolo dell’Accademia delle Scienze è stato una delle principali istituzioni scientifiche dell’ex Unione Sovietica. Fondato nel 1925, ha rappresentato un’eccellenza nel campo della ricerca tecnologica, al punto che negli anni Ottanta aveva già una sua divisione che si occupava di intelligenza artificiale e riconoscimento vocale. In quella stessa sezione nel 1983 lavora Aleksej Pažitnov, un informatico che ha il vezzo di progettare videogiochi. Aleksej ha una vera e propria ossessione per i pentamini, ovvero figure geometriche che comprendono cinque quadrati uguali le quali, affiancate una all’altra, vanno a comporre un piano. Inizia a lavorare a un gioco il cui obiettivo sia quello di completare più piani possibili mediante gli incastri fra i vari elementi geometrici. Gli dà un nome semplice ed efficace – Tetris – e per renderlo più dinamico decide di introdurre un’ulteriore variante: far piovere i quadrati dall’alto.

Nel giugno del 1984 il videogioco inizia a diffondersi; un anno dopo arriva sul mercato sovietico e da lì in breve in molti dei Paesi dell’Est. Una copia finisce nelle mani di Robert Stein, un importatore americano, che decide di stipulare un accordo con Pažitnov e con il suo socio Brjabrin per portare il gioco al di là della cortina di ferro. Le parti si scambiano dei documenti via telex e Tetris parte alla conquista dell’Ovest. Va vinta la diffidenza verso un prodotto targato Urss, senza contare che nel 1983 c’era stata la grande crisi dell’industria dei videogame (“Atari shock”). Stein riesce comunque a farcela: piazza le licenze e in breve tempo l’idea di Pažitnov conquista anche gli Stati Uniti. Resta un problema: Stein ha venduto le licenze senza possederle, dato che il telex mediante il quale aveva stipulato l’accordo non ha alcun valore legale. Inizia così una battaglia con Ėlorg, l’azienda pubblica sovietica con il monopolio sull’importazione ed esportazione di hardware e software, che chiede l’80% dei ricavi delle vendite. Un braccio di ferro fra i due blocchi del mondo, in pieno spirito da Guerra fredda, con Pažitnov che si mette contro le istituzioni sovietiche. Alla fine le parti raggiungono una faticosa mediazione, con la concessione di una licenza decennale. Da lì in poi Tetris conquista il mondo, anche se sarà ancora oggetto di diatribe, stavolta fra i produttori di console che ne vorranno l’esclusiva. La spunterà Nintendo che nel 1989 ne farà il gioco di punta del suo Game Boy. Nel 1996 Stein e Pažitnov fonderanno invece la Tetris Company e diverranno ricchi.

Il recente film “Tetris”, con protagonista Taron Egerton, ha leggermente romanzato la vicenda per adattarla alla narrazione cinematografica, ma il paradosso del giocotetris (nel quale bisogna costruire muri per poi distruggerli) rappresenta forse il vero senso di questa storia. Ovvero che, trovando i giusti incastri, anche le parti più inconciliabili cessano di esserlo in nome di uno scopo comune. E che alla fine, come nel Tetris, questo è in alcuni casi più che sufficiente a far cadere i muri.

di Stefano Faina e Silvio Napolitano

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