I numeri parlano da soli: nel 2019 lo Stato prevedeva di incassare dalle concessioni balneari 115 milioni di euro, di cui effettivamente ne sono stati riscossi solo 83, e se facciamo una somma partendo dal 2007 i mancati incassi arrivano a 235 milioni di euro.
Sull’annosa questione delle concessioni balneari, a marzo l’Antitrust aveva nuovamente invitato a una riforma che mettesse in discussione lo status quo, rilevando come vi sia in primo luogo una limitazione alla concorrenza. Oltre all’evidente risultato di generare paradossi quale quello del “Twiga” di Marina di Pietrasanta, che guadagna oltre mille euro al giorno per ogni gazebo ma versa allo Stato un canone annuo di 17.619 euro.
Oppure il “Papeete” di Milano Marittima che due anni fa aveva incassato 3,2 milioni di euro versandone appena 10mila per la concessione. Soldi che non entrano e che pesano in negativo sulle casse dello Stato. Il tema è la legge sulle concessioni demaniali, approvata nel 2018 e grazie alla quale il governo Conte ha prorogato fino al 2033 quelle esistenti senza che vi sia nessuna nuova gara. Rischiamo di ritrovarci con numeri ancora più imbarazzanti, e l’Agcm lo dice chiaramente: occorre una nuova norma che assegni le concessioni in base a princìpi di «concorrenza, imparzialità e trasparenza». Oltre al fatto che adesso non è possibile alcun ricambio generazionale, se non per via ereditaria. E stiamo parlando di oltre 61mila stabilimenti.
C’è da sperare che non finisca tutto nel dimenticatoio per altri decenni.
di Annalisa Grandi
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