Eran trecento, eran giovani forti e si son ritorti. Saremo franchi: la statua dedicata alla spigolatrice di Sapri, inaugurata nei giorni scorsi nel Comune del Cilento, è davvero brutta.
Detto del giudizio estetico, finiamola qua. Non cerchiamo in un’opera d’arte la morale che tutto declina ai tempi nostri. Del tipo: trattasi di statua maschilista perché ha un sedere troppo in vista. In questa visione etica dell’arte si avverte il sapore di una censura non evocata esplicitamente ma comunque richiamata nei fatti da chi la condanna.
Sono forse sessiste le figure femminili di Michelangelo nella Cappella Sistina che riecheggiano nel corpo più i maschi che le femmine? No.
Non lo sono. Intendiamoci, non che l’autore della spigolatrice sia paragonabile al Buonarroti, neanche per sogno. Ma in questo misurare l’arte con la morale di chi vuole spiegare al mondo ciò che è buono e ciò che è giusto, c’è un sapore autoritario che non ci piace. Di quello sconcerto dovuto al fallimento della spedizione di Carlo Pisacane non c’è nulla? Questa è un’altra storia.
È la vicenda eroica del nostro Risorgimento che, anche nei suoi fallimenti, resta una delle pagine migliori di questa nostra Italia. L’atto e non l’attesa. Il combattimento e non la neutralità. E lei, la spigolatrice (non sappiamo che didietro avesse) ne era consapevole al punto di intonare, guardando la spiaggia: «Me ne andava al mattino a spigolare / quando ho visto una barca in mezzo al mare / era una barca che andava a vapore / e alzava una bandiera tricolore».
Di Franco Risorgimento
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