Allarme caldo in Italia, nel 2003 un’estate bollente da cui abbiamo imparato poco o nulla
L’attuale ondata di caldo che sta investendo l’Europa in queste settimane ha riportato alla mente un’altra estate bollente di inizio millennio: quella del 2003

Allarme caldo in Italia, nel 2003 un’estate bollente da cui abbiamo imparato poco o nulla
L’attuale ondata di caldo che sta investendo l’Europa in queste settimane ha riportato alla mente un’altra estate bollente di inizio millennio: quella del 2003
Allarme caldo in Italia, nel 2003 un’estate bollente da cui abbiamo imparato poco o nulla
L’attuale ondata di caldo che sta investendo l’Europa in queste settimane ha riportato alla mente un’altra estate bollente di inizio millennio: quella del 2003
L’attuale ondata di caldo che sta investendo l’Europa in queste settimane ha riportato alla mente un’altra estate bollente di inizio millennio: quella del 2003, che rappresentò uno dei momenti più memorabili e drammatici nella storia recente del Vecchio Continente, segnando un punto di svolta nella percezione dei rischi legati ai cambiamenti climatici. Un momento storico che per intensità, durata e impatto ha lasciato un’eredità che ancora oggi si fa sentire. Ma dalla quale purtroppo non sembriamo aver imparato granché.
L’estate del 2003 e il gran caldo
Quell’estate era stata preannunciata da una primavera caratterizzata da forte siccità, che lasciava prefigurare un periodo di grandi criticità. La situazione si aggravò ulteriormente con l’espansione dell’anticiclone africano, che portò temperature insolitamente alte già a maggio e che si consolidò fino a settembre. Il termometro superò i 40 gradi in molte città europee, con picchi di 47,3 nel Sud del Portogallo durante le settimane più calde di agosto.
In Italia le zone più colpite furono il Nord, le aree costiere del Tirreno e la Sardegna, dove si registrarono temperature record e una riduzione del 10% dei ghiacciai alpini, con conseguenti frane e dissesti. Le conseguenze furono devastanti: oltre 70mila morti in 16 Paesi europei, in Italia 3mila in più rispetto all’estate precedente. La conseguente crisi sanitaria spinse i governi a rafforzare i piani di emergenza per le ondate di calore, riconoscendo l’urgenza di proteggere le fasce più vulnerabili, in particolare gli anziani.
Quello del 2003 fu un evento che influì profondamente sull’ambiente e sull’economia
Ma al di là delle conseguenze sul piano umanitario, quello del 2003 fu un evento che influì profondamente sull’ambiente e sull’economia. La siccità precoce danneggiò gravemente le produzioni agricole – con danni alle colture di cereali e ortofrutta – e aumentò i costi per gli allevamenti. La scarsità idrica rese inoltre difficile il funzionamento delle centrali nucleari in Europa, che necessitano di grandi quantità di acqua di raffreddamento, portando a sospensioni temporanee della produzione energetica. La riduzione dei ghiacciai alpini contribuì a innalzare temporaneamente i livelli dei fiumi e causò morie di pesci e danni di vario tipo agli ecosistemi acquatici.
La domanda idrica per l’irrigazione generò conflitti tra agricoltura e tutela delle risorse, mentre le infrastrutture si trovarono impreparate a gestire eventi di tale portata, fra dilatazioni dei binari ferroviari e altri disservizi. La crisi produsse un impatto significativo anche sul mondo del lavoro, causando perdite significative dovute a una riduzione della produttività e contribuendo a influenzare negativamente la crescita economica.
A distanza di oltre vent’anni, oggi l’Europa si trova di nuovo ad affrontare un’ondata di calore
A distanza di oltre vent’anni, oggi l’Europa si trova di nuovo ad affrontare un’ondata di gran caldo che – sebbene non ancora di portata globale come quella del 2003 – presenta caratteristiche simili e preoccupanti. Le temperature registrate nelle ultime settimane sono state da record, confermando la tendenza relativa a estati sempre più calde già registrata dal 2009 in poi. Eventi che non rappresentano più circostanze occasionali, ma una realtà apparentemente consolidata. Che cosa è cambiato da allora? Qualcosa, ma non abbastanza. Le strutture e le politiche di prevenzione e pronto intervento esistono, ma sono spesso sottoutilizzate o inefficaci. È cresciuta la consapevolezza, anche se non ancora al punto da diventare un’azione collettiva o politicamente supportata. Servirebbe un cambio di passo sostenuto anche da risorse all’altezza che – nonostante il susseguirsi di estati roventi – continuiamo a non vedere.
Mentre il clima cambia, tutto il resto sembra non farlo. Restiamo immobili o quasi, mentre il climate changing richiederebbe invece di accelerare una trasformazione. Continuare a minimizzarne la necessità, negando quel che ormai è sotto gli occhi di chiunque, rappresenta un esercizio sciocco e francamente non più giustificabile.
di Stefano Faina e Silvio Napolitano
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