La pubblicazione dei risultati del censimento dei dispositivi di velocità ha svelato una delle principali mistificazioni politiche degli ultimi anni in Italia. Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, aveva infatti costruito una narrativa che dipingeva il nostro Paese come una giungla di autovelox: stando a questa rappresentazione, l’Italia – con un numero oscillante fra gli 11mila e i 13mila dispositivi – si sarebbe posizionata al primo posto nel mondo per il controllo della velocità. Una propaganda ‘da fortino’, quella della Lega, capace di sfruttare il tema della sicurezza stradale per costruire consenso. Peccato che i numeri non stiano affatto dalla parte del ministro.

Stando ai dati ufficiali – il censimento condotto dall’Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale (Asaps) e dell’Associazione Lorenzo Guarnieri (Alg) – gli autovelox presenti sul territorio italiano sono appena 3.625. Ne abbiamo dunque meno di Paesi come Francia, Inghilterra e Svizzera. Di più: i dati ci dicono che la maggior parte degli autovelox – ovvero 3.038 – è gestita da Polizia locale, provinciale e delle Città metropolitane, mentre la Polizia stradale ne controlla appena 586, di cui una parte include i sistemi di rilevamento sulle autostrade (come i tutor), che hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre incidenti e morti sulle tratte a più alta velocità.

Al di là dei numeri, la vera questione che seguita a ingannare il dibattito pubblico e politico è quella annosa dell’omologazione dei dispositivi. Non esiste infatti un sistema chiaro e definito per omologare gli autovelox. Nonostante le ripetute dichiarazioni di Salvini sul tema, il problema rimane irrisolto. La mancanza di un decreto attuativo che stabilisca criteri trasparenti e condivisi per l’omologazione ha creato una situazione illogica, tanto che il 60% degli autovelox fissi e oltre il 67% di quelli mobili non sono omologati e risalgono a prima del 2017. Il che ha dato vita a una valanga di ricorsi da parte degli automobilisti. Negli ultimi anni la Cassazione ha annullato numerose sanzioni comminate con dispositivi non omologati, minando ulteriormente la credibilità e la legittimità di un sistema che già faticava a giustificare il proprio operato.

Se Salvini ha fatto della guerra agli autovelox un cavallo di battaglia, il suo intervento sull’omologazione è stato un fallimento. Lo scorso marzo il ministro aveva promesso di porre rimedio con un decreto che avrebbe ‘sanato’ gli autovelox approvati dal 2017 in poi. Tuttavia, con un colpo di scena di quelli che soltanto la politica sa regalare, due giorni dopo il suo annuncio ha fatto marcia indietro, lasciando ancora una volta irrisolto un nodo fondamentale per la sicurezza stradale.

Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture ha spesso dipinto gli autovelox come una mera macchina per fare cassa. Una visione che ha suscitato il malcontento di numerosi sindaci, costretti a sospendere i contratti con le aziende. In molti casi la corsa agli autovelox è stata scambiata per una corsa alla risoluzione dei bilanci comunali, con i primi cittadini accusati di vedere gli automobilisti come polli da spennare. Ma la vera truffa è semmai una politica che usa il tema della sicurezza come strumento di propaganda. Gli autovelox servono a salvare vite, non a fare cassa. Sarebbe ora che la politica la smettesse di strumentalizzare un tema così serio per interesse elettorale e iniziasse a fare davvero il bene della sicurezza stradale.

Di Matteo Grossi