
Un dito puntato
A volte dobbiamo costringerci a immaginare l’immaginabile. A pensare, anche solo per pochi secondi, cosa sia significato vivere quell’inferno di dolore e solitudine su un barcone disperso nell’immensità di un mare deserto. A guardare la foto di una bambina morta di sete in mare
| Cronaca
Un dito puntato
A volte dobbiamo costringerci a immaginare l’immaginabile. A pensare, anche solo per pochi secondi, cosa sia significato vivere quell’inferno di dolore e solitudine su un barcone disperso nell’immensità di un mare deserto. A guardare la foto di una bambina morta di sete in mare
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Un dito puntato
A volte dobbiamo costringerci a immaginare l’immaginabile. A pensare, anche solo per pochi secondi, cosa sia significato vivere quell’inferno di dolore e solitudine su un barcone disperso nell’immensità di un mare deserto. A guardare la foto di una bambina morta di sete in mare
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A volte dobbiamo costringerci a immaginare l’immaginabile. A pensare, anche solo per pochi secondi, cosa sia significato vivere quell’inferno di dolore e solitudine su un barcone disperso nell’immensità di un mare deserto. A guardare la foto di una bambina morta di sete in mare
Dobbiamo farlo, perché quei sei morti – di sete, ripetiamo e solo scriverlo dovrebbe lasciarci attoniti – recuperati ormai senza vita dalla Guardia costiera italiana sono un dito puntato. Innanzitutto contro la criminale indifferenza dei peggiori fra gli esseri umani, capaci di lucrare senza un moto di pietà sulle vite altrui.
Poi e tanto, sull’ignavia di Stati che continuano a giocare a rimpiattino con la morte, a cominciare dalla piccola Malta che dovrà dare spiegazioni su quanto accaduto. Perché, in base alle indicazioni fornite dalle ONG impegnate in Mediterraneo e dall’organismo di tutela dei rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) per giorni sarebbero stati ignorati gli appelli di andare a recuperare quel barcone alla deriva.
Quanto a noi, se ancora vogliamo conservare un briciolo di dignità, risparmiamoci squallidi ping pong fra cattivisti e buonisti. Lo scambio di accuse fra quelli del “restiamo umani“, “accogliamo tutti“ e il fronte opposto dello “stop agli sbarchi“, “aiutiamoli a casa loro”.
Casa loro non ce l’avevano più i tre bambini e le tre donne siriani morti di sete mentre cercavano di raggiungere l’Italia e la vita, quindi cerchiamo di non dire bestialità.
Come non è tollerabile assistere senza far nulla a questo scempio, illudendosi di poter tramutare la gestione di un fenomeno epocale in un dibattito interno al nostro Paese utile a raccattare voti. Ormai non ci crede più neanche chi ha costruito fortune politiche su queste vicende, tant’è vero che il tema è scomparso dalla campagna elettorale.
Troppo impegnativo, troppo serio per lo spettacolo di questi giorni.
La soluzione non può che arrivare da una presa di coscienza e da un impegno operativo dell’Unione europea, sia nel contrasto a questo traffico inumano che nel soccorso in mare. Con tanto di piccole cessioni di sovranità, lì dove andranno costruiti centri di raccolta e smistamento che non possono essere come oggi l’anticamera di un sistema-colabrodo, ben noto in Grecia e in Italia.
Di Fulvio Giuliani
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