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Barriera di Milano e Aurora: la Torino violenta a pochi metri dal centro

A pochi metri dal centro c’è una Torino criminale, dove non passa giorno senza risse e accoltellamenti. Ne parliamo in questo primo articolo della rubrica dedicata alle zone più difficili del nostro Paese.

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Barriera di Milano e Aurora: la Torino violenta a pochi metri dal centro

A pochi metri dal centro c’è una Torino criminale, dove non passa giorno senza risse e accoltellamenti. Ne parliamo in questo primo articolo della rubrica dedicata alle zone più difficili del nostro Paese.

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Barriera di Milano e Aurora: la Torino violenta a pochi metri dal centro

A pochi metri dal centro c’è una Torino criminale, dove non passa giorno senza risse e accoltellamenti. Ne parliamo in questo primo articolo della rubrica dedicata alle zone più difficili del nostro Paese.

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A pochi metri dal centro c’è una Torino criminale, dove non passa giorno senza risse e accoltellamenti. Ne parliamo in questo primo articolo della rubrica dedicata alle zone più difficili del nostro Paese.

A Torino la periferia non esiste. Perché quello che altrove viene percepito come separato, prima di tutto da una distanza fisica, dal centro qui è invece un tutt’uno. Ci sono poche decine di metri soltanto a separare il cuore della città da Corso Giulio Cesare. A chi lì ci vive basta pronunciarne il nome: una via lunghissima che da anni è in mano agli spacciatori. Anche in pieno giorno si assiste a scambi di droga nei giardinetti, davanti ai negozi. Come fosse la cosa più normale del mondo. E non passa giorno senza che, al calar della sera, ci siano risse e accoltellamenti.

«Tu lì non ci puoi andare» suggeriscono ragazzini che avranno sì e no dodici anni, ma che sanno perfettamente che quella strada è territorio dei nordafricani. Non è periferia, perché gli oltre cinque chilometri di questa via partono dal pieno centro storico e attraversano i due quartieri considerati più pericolosi della città sabauda: Barriera di Milano e Aurora. Qui dove fino a qualche decennio fa sorgevano industrie tessili e vi era la sede della Fiat Grandi Motori. La chiusura di quei colossi ha lasciato in eredità una realtà che via via è diventata sempre più difficile.

Basta fare una piccola ricerca in Rete per comprendere la frequenza degli atti di violenza fra queste strade. Nonostante gli annunci che si susseguono di un maggior dispiegamento di forze dell’ordine, nonostante le task force messe a punto per cercare di affrontare la questione, la verità è che chi può se ne va via. Chi resta vive ostaggio della microcriminalità. E la polizia non riesce a estirpare quello che ormai sembra fortemente radicato in ogni angolo. I negozianti raccontano di essere costretti a tenere spesso abbassate le serrande, mentre in strada gli spacciatori si picchiano o si accoltellano.

E poi ci sono i ragazzi, quelli che ci tengono a ribadire di non essere «Come quelli là», intendendo gli africani. Ma parlano anche loro la lingua della violenza: vanno in giro con i coltelli e mostrano con orgoglio le cicatrici di qualche rissa dove hanno avuto la peggio. Eppure sono poco più che bambini. Si muovono in gruppo, difendono il “territorio”, parlano come se non ci fosse altro futuro possibile che la strada.

Sono loro a impressionare di più, quelli che ti dicono: «A Barriera siamo tutti così, tutti segnati». Non conoscono un altro mondo possibile. A Barriera devi imparare a guardarti le spalle. A difenderti da solo, perché è sulla strada che si stabiliscono le gerarchie. Mentre se non sei di lì, se pensi di poter andare a fare domande, ci vogliono due minuti perché una delle “sentinelle” di questi spacciatori lo capisca. E che qualcuno ti chiarisca il fatto che non sei gradito.

Pochi passi più in là c’è la Torino dei palazzi, dei negozi. Ma quello è un altro mondo.

Di Annalisa Grandi

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