Contare morti e dispersi sul tetto del mondo non basta
Le tragedie che hanno coinvolto alpinisti italiani negli ultimi giorni sono terribili. Ormai se non proprio tutti, sul tetto del mondo pensano di andarci o di poterci andare quasi tutti
Contare morti e dispersi sul tetto del mondo non basta
Le tragedie che hanno coinvolto alpinisti italiani negli ultimi giorni sono terribili. Ormai se non proprio tutti, sul tetto del mondo pensano di andarci o di poterci andare quasi tutti
Contare morti e dispersi sul tetto del mondo non basta
Le tragedie che hanno coinvolto alpinisti italiani negli ultimi giorni sono terribili. Ormai se non proprio tutti, sul tetto del mondo pensano di andarci o di poterci andare quasi tutti
Inutile negare l’idea (molto pericolosa): ormai se non proprio tutti, sul tetto del mondo pensano di andarci o di poterci andare quasi tutti.
Comunque in numeri del tutto incompatibili con la realtà di uno dei luoghi più pericolosi, estremi e inospitali del pianeta. Le tragedie che hanno coinvolto alpinisti italiani negli ultimi giorni sono terribili. Ai tre morti dell’altro giorno si sono aggiunti altri in un numero ancora da definire ieri, di cui si sono persi i segnali GPS e non si hanno più notizie.
Condizioni meteo estremamente sfavorevoli, neve anomala, tempeste e valanghe fatali hanno travolto questi gruppi di escursionisti e per i destini di ciascuno sarà necessaria e opportuna un’analisi e un’indagine accurata per comprendere cosa sia potuto accadere.
Nel leggere con un crescente senso di impotenza le notizie in questi giorni, però, sono tornato con la memoria alle due occasioni pubbliche in cui ho avuto la fortunata opportunità di intervistare Simone Moro.
Parliamo di uno dei più grandi alpinisti italiani viventi e in assoluto uno dei più grandi scalatori dei nostri tempi, che nel suo ultimo libro, “Gli Ottomila al Chiodo”, ha sottolineato proprio l’esigenza di riscoprire un rapporto di maggiore rispetto ed empatia con la montagna estrema.
Senza nessuna ansia di giudizio per coloro che partecipano alle spedizioni commerciali e, di fatto, comprano un biglietto per il tetto del mondo. Nessuna critica fine a se stesso, ma la memoria di ciò che è stato e sarà sempre (o dovrebbe essere) l’alpinismo, compresi i rischi che non possono essere eliminati e neppure compressi.
Un luogo che è per pochissimi, altro che per quelle fiumane che abbiamo visto quest’estate sulla vetta dell’Everest, un formicaio di alpinisti che stride con la mistica, la poetica dell’esplorazione e della sfida con se stessi. Simone Moro è un alpinista formidabile e va letto e ascoltato con estrema attenzione, perché non ci si può limitare a contare i morti.
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