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Dare gas

Oggi il ministro della Transizione ecologica Cingolani parla di una copertura del 10% del fabbisogno nazionale con il gas estratto dai nostri mari, che ci costa cinque centesimi di euro al metro cubo, contro i 50-70 di quello che importiamo
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Oggi il ministro della Transizione ecologica Cingolani parla di una copertura del 10% del fabbisogno nazionale con il gas estratto dai nostri mari, che ci costa cinque centesimi di euro al metro cubo, contro i 50-70 di quello che importiamo
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Oggi il ministro della Transizione ecologica Cingolani parla di una copertura del 10% del fabbisogno nazionale con il gas estratto dai nostri mari, che ci costa cinque centesimi di euro al metro cubo, contro i 50-70 di quello che importiamo
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Oggi il ministro della Transizione ecologica Cingolani parla di una copertura del 10% del fabbisogno nazionale con il gas estratto dai nostri mari, che ci costa cinque centesimi di euro al metro cubo, contro i 50-70 di quello che importiamo
Saper cambiare idea e opinione è sintomo di flessibilità, come il saper riconoscere i propri errori. Eppure, non è che basti dire “Scusate, ci eravamo sbagliati” per risolvere tutto. Le responsabilità politiche esistono, ancor di più quelle economiche. Quando il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano riconosce che il Movimento Cinque Stelle sbagliò a definire il gasdotto Tap «un’opera di criminali» fa pace con la razionalità ma non ci fa felici. I ritardi accumulati nella realizzazione dell’infrastruttura che arriva in Puglia, bypassando la Russia – per tacere di quelli nell’estrazione del gas in Adriatico su cui torneremo – sono costati denaro e oggi contribuiscono a metterci in una situazione di debolezza nella crisi russo-ucraina. Con il dovuto rispetto, non basta dire “Ho sbagliato“ per chiudere la partita e andare avanti come se nulla fosse, perché gli stessi che dichiararono enormità sul Tap oggi sono parte della maggioranza di governo chiamata a definire soluzioni a medio termine per l’approvvigionamento energetico di una grande potenza industriale. Sono gli stessi che, come si accennava, spinsero per l’incomprensibile stop del 2019 all’estrazione del gas naturale in Adriatico. Un No all’insegna del ‘dagli alle trivelle’, nemiche del radioso sol dell’avvenire in salsa pentastellata. Oggi è il ministro della Transizione ecologica Cingolani a parlare di una copertura del 10% del fabbisogno nazionale con il gas estratto nei nostri mari. Per inciso, un gas che ci costa cinque centesimi di euro al metro cubo, contro i 50-70 di quello che importiamo. Già si alzano le voci di chi urla alla Luna, perché le famiglie non se ne accorgeranno in bolletta o non si risolverà così il nostro problema strategico. Sono gli stentorei testimoni di chi crede che la transizione ecologica si faccia a costo zero. Senza ricadute economiche dirette o indirette, determinate dall’impatto su intere filiere produttive che andranno ripensate per tempo. Se non fossimo capaci di farlo, finiremmo per perdere decine di migliaia di posti di lavoro legati ai vecchi processi produttivi, senza la capacità di crearne al contempo di nuovi legati alle rinnovabili. Un classico esempio è quello dell’automobile: andare verso l’elettrificazione non può essere solo una dichiarazione d’intenti, bisogna adattare gli impianti produttivi e crearne di nuovi, altrimenti finiremmo per rivolgerci solo ai fornitori esteri (perlopiù cinesi), diventando degli assemblatori. Con il know how unico al mondo che abbiamo nella meccanica, un suicidio. È intuitivo, dunque, che il compito della politica dovrebbe essere quello di guidare l’opinione pubblica nella comprensione di un fenomeno lungo e articolato, con costi e rischi. Oltre che ineluttabile, se vorremo lasciare ai nostri nipoti un mondo vivibile. Per arrivare a una società industriale sostenibile, senza cedere alle follie ideologiche della ‘decrescita felice’, il processo non potrà che essere graduale. Nei decenni di evoluzione che ci attendono solo una compartecipazione delle diverse fonti di energia potrà tenerci al caldo e competitivi sui mercati. Il gas e i combustibili fossili non spariranno per decreto o magia, a meno che non si voglia tornare a uno stadio preindustriale. Il nucleare, anche se si ha il terrore anche solo di nominarlo, è parte della soluzione. Perché, grazie al cielo, partecipiamo alla ricerca sulla fusione nucleare, ma nel frattempo continuiamo a comprare energia prodotta con le attuali centrali a fissione. Ne abbiamo scritto diffusamente venerdì, mentre il sottosegretario Di Stefano riconosceva l’errore storico commesso, ma non sapremmo proprio quante forze politiche siano disposte ad affrontare una campagna elettorale parlando chiaro al Paese e distinguendo fra realtà e balle cosmiche. Caricate a gas o a eolico poco cambia.   di Fulvio Giuliani

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