Emergenza giovani, vite perse e vite ritrovate
Emergenza giovani, vite perse e vite ritrovate
Emergenza giovani, vite perse e vite ritrovate
Giovanissimi che aggrediscono, ragazzi allo sbando e Comuni che non riescono a gestire l’emergenza. C’è l’ultimo caso di cronaca, quello dei giovani che hanno aggredito un 17enne Down a Roma, ma il problema dei minori – specialmente se extracomunitari e non accompagnati – riguarda non solo la Capitale ma tutte le città. Perché la loro gestione è affidata ai commissariati, alla polizia locale e il risultato è che poi quegli stessi uomini e donne impegnati con i minori non riescono a presidiare i quartieri. Non è un caso che da più parti e da mesi si levi la richiesta di inviare l’esercito: i grandi centri sembrano fuori controllo e le amministrazioni locali – che in alcuni casi già fanno i conti con risorse risicate – non possono far altro che provare a mettere pezze che si rivelano però ogni volta insufficienti.
Un numero, per capire: a Roma le richieste di assistenza per minori senza genitori e senza una sistemazione sono circa 300 al giorno. È evidente che polizia di Stato e locale non possono farvi fronte senza di contro lasciare scoperto il territorio. E a non funzionare è proprio il sistema, perché sulla gestione di questi minorenni dovrebbero esserci protocolli efficaci a livello nazionale. Altrimenti si rischia che nelle città dove ci sono già i maggiori problemi di ordine pubblico se ne aggiungano altri, in un cortocircuito che rischia di diventare poi difficile da arginare. Gli stessi che poi finiscono al centro delle cronache, additati come baby gang o bulli, responsabili di quelle violenze su cui negli ultimi mesi sono stati accesi i riflettori ma che in realtà sono tutt’altro che una novità. Senza un controllo, senza un sistema familiare intorno, alle volte senza neppure un vero posto dove stare, sono destinati a ingrossare i numeri delle statistiche sui piccoli reati.
Così come non si possono lasciare ai Comuni le spese per i minori abbandonati. Spese, oltre tutto, che non possono determinare né controllare ma che devono soltanto pagare. Tutto questo richiederebbe una centralizzazione della gestione, anche a miglior tutela di quelle giovani vite. Perché l’assistenza, il supporto, il contesto in cui questi ragazzi si muovono fanno la differenza.
Intendiamoci, fare di tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato. Per un giovane che perde la strada ce ne sono altri che ci rendono orgogliosi. Come i figli di quel carabiniere che nel trapanese ha salvato il neonato abbandonato in un sacchetto di plastica. E che al padre hanno chiesto di portare a casa quel bimbo, lasciato a morire da chi lo aveva messo al mondo. A chi verrà affidato lo deciderà un giudice, ma di sicuro queste sono le piccole storie che ci ridanno speranza. Che fanno capire come non vi siano destini già scritti ma la possibilità di cambiare anche un epilogo che pareva dover essere il più tragico.
di Annalisa Grandi
La Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
Leggi anche