Espulsioni incontrollate
L’Italia e il problema delle mancate espulsioni dei migranti irregolari. La soluzione c’è ed è tanto ovvia quanto apparentemente inapplicata
Espulsioni incontrollate
L’Italia e il problema delle mancate espulsioni dei migranti irregolari. La soluzione c’è ed è tanto ovvia quanto apparentemente inapplicata
Espulsioni incontrollate
L’Italia e il problema delle mancate espulsioni dei migranti irregolari. La soluzione c’è ed è tanto ovvia quanto apparentemente inapplicata
L’Italia e il problema delle mancate espulsioni dei migranti irregolari. La soluzione c’è ed è tanto ovvia quanto apparentemente inapplicata
Indignarsi è ovvio, stupirsi difficile. Il 37enne marocchino che mercoledì notte ha accoltellato un poliziotto alla stazione di Milano Lambrate doveva essere espulso. Di più, da quando era arrivato in Italia (nel 2002) non era mai stato regolare. Lunga la lista dei suoi precedenti penali: dalla rapina aggravata al sequestro di persona, molti commessi proprio utilizzando dei coltelli. Alcuni giorni fa su un treno aveva minacciato i passeggeri con un rasoio. Denunciato a piede libero, da Bologna si era spostato a Milano. Dove poi è accaduto quel che sappiamo.
Ora, che il sindaco Beppe Sala tuoni contro le mancate espulsioni suona retorico. Perché il problema esiste non da oggi ma da sempre. Perché la realtà è che le espulsioni non avvengono quasi mai. È grave? Sì. Non serviva questo ennesimo fatto di cronaca per ricordarcelo. Il tema esiste e finora nessuno, qualunque sia il suo colore politico, è riuscito davvero ad affrontarlo in modo risolutivo. Esiste poi una seconda questione, rilanciata dal questore di Milano proprio pochi giorni prima di questa aggressione: troppe persone vanno in giro con armi da taglio. Il coltello dell’aggressore del poliziotto aveva una lama lunga venti centimetri. Le foto della Polizia scientifica sono impressionanti. Così come fa rabbrividire l’idea che una persona già molte volte arrestata, irregolare, con numerosi provvedimenti di espulsione, se ne potesse andare in giro libera di utilizzare un’arma del genere contro un poliziotto o un qualsiasi altro cittadino. Fa rabbrividire ed è la prova di come il controllo del territorio stia evidentemente sfuggendo di mano.
Anche qui, poco di nuovo. Chi vive a Milano sa che da anni la zona intorno alla stazione di Lambrate è da evitare, soprattutto di sera. Come la maggior parte delle stazioni ferroviarie italiane, verrebbe da aggiungere. Il fatto è che non se ne può parlare solamente quando poi ci scappa l’aggressione o il morto e iniziano puntuali i rimpalli di responsabilità, quando magari si cerca di sostenere che la colpa dell’accaduto sia da attribuire alla politica di questo o quest’altro. A quel punto puntare il dito accusatore serve soltanto a fare ascolti nei talk show, certo non a risolvere situazioni che da anni (se non decenni) rimangono le stesse. Eppure la soluzione ci sarebbe ed è tanto ovvia quanto apparentemente inapplicata: la situazione è infatti migliorata laddove sono stati predisposti controlli, prolungati e non solo per il tempo necessario a veder sparire gli articoli dai giornali.
Certo, rimane il tema del numero imprecisato di persone che vivono nel nostro Paese e invece non dovrebbero starci, veri e propri ‘fantasmi’ fino a quando non commettono qualche reato. I centri di accoglienza sono saturi o pressoché privi di controlli, i provvedimenti di espulsione rimangono sulla carta. Si crea così un cortocircuito da cui è anche difficile uscire. Ma qualcosa bisognerà pur fare. Perché davvero mette i brividi rendersi conto che quanto è successo a questo poliziotto 35enne – che fra l’altro pare stesse cercando di evitare che l’uomo finisse sotto un treno – potrebbe ripetersi innumerevoli altre volte. Per non parlare del fatto che neppure chi detiene un regolare porto d’armi per difesa personale può andarsene liberamente in giro con un coltello come quello usato dall’aggressore.
Il resto è la logica conseguenza dell’aver lasciato indisturbato nel nostro Paese un soggetto con quel genere di precedenti penali e che in due decenni ha utilizzato ben ventidue alias. Al di là dell’ondata di indignazione, di polemiche e di scambi di reciproche accuse, vien da chiedersi se vi sia qualcuno che seriamente voglia provare a risolvere tale problema. Perché altrimenti questo grave episodio di cronaca sarà soltanto l’ennesimo di cui si scrive prima di passare ad altro. Fino alla prossima volta. Fino alla prossima aggressione.
Di Annalisa Grandi
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