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Femminicidio di Lorena Quaranta, nuovo processo d’appello per il compagno. Da verificare stress da Covid

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La corte di Cassazione annulla temporaneamente l’ergastolo perché il killer era probabilmente “stressato e impaurito dal Covid”

Femminicidio di Lorena Quaranta, nuovo processo d’appello per il compagno. Da verificare stress da Covid

La corte di Cassazione annulla temporaneamente l’ergastolo perché il killer era probabilmente “stressato e impaurito dal Covid”

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Femminicidio di Lorena Quaranta, nuovo processo d’appello per il compagno. Da verificare stress da Covid

La corte di Cassazione annulla temporaneamente l’ergastolo perché il killer era probabilmente “stressato e impaurito dal Covid”

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Il 31 marzo 2020, Antonio De Pace toglie la vita alla compagna 27enne, Lorena Quaranta, strangolandola a mani nude. Confessa subito dopo e ottiene l’ergastolo dopo due gradi di giudizio. Oggi, la svolta processuale: i giudici della Cassazione hanno infatti chiesto l’annullamento temporaneo della pena accogliendo, di fatto, la richiesta della difesa secondo cui Di Pace era affetto da una temporanea infermità mentale dovuta allo stress e alla paura del Covid.

Papà Vincenzo ha subito mostrato la sua indignazione: “Il Covid non c’entra. La verità è che De Pace aveva un complesso di inferiorità nei confronti di mia figlia. È come se me l’avessero uccisa due volte“.

Lorena Quaranta aveva 27 anni, gli occhi azzurri come il mare della sua Sicilia e un amore sconfinato per i bambini: era un’aspirante pediatra prossima alla laurea in Medicina. Proprio in aula aveva conosciuto Antonio De Pace, infermiere e studente di Odontoiatria all’università con cui conviveva da tre anni in una villetta a Furci Siculo, tra Taormina e Messina. Allo scoppio della pandemia, il compagno entra in uno stato di profonda paura del contagio che lo porta a scappare di casa per imbarcarsi verso la Calabria, dove risiedono i genitori.

Lorena è preoccupata e gli chiede ripetutamente di ritornare a casa. Infine, lui lo fa: ritorna ma gli abbracci sperati diventano mani sul collo, letali. È lui stesso a chiamare i Carabinieri e confessare, dopo un tentativo di suicidio, spiegando di aver temuto un contagio proprio dalla sua compagna che in quei giorni aveva la febbre.

Con la decisione della Cassazione si dà spazio all’ennesimo escamotage dell’infermità mentale come attenuante nonostante la perizia psichiatrica abbia giudicato sin da subito l’imputato in grado di intendere e di volere. Ogni volta che si parla di femminismo, entra in scena lo stesso copione: inammissibile e imperdonabile.

di Raffaela Mercurio

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