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Figli esposti alla violenza

C’è una responsabilità che ciascun genitore ha: quella di non far crescere i propri figli in un ambiente dove la violenza sia pane quotidiano
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Figli esposti alla violenza

C’è una responsabilità che ciascun genitore ha: quella di non far crescere i propri figli in un ambiente dove la violenza sia pane quotidiano
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Figli esposti alla violenza

C’è una responsabilità che ciascun genitore ha: quella di non far crescere i propri figli in un ambiente dove la violenza sia pane quotidiano
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C’è una responsabilità che ciascun genitore ha: quella di non far crescere i propri figli in un ambiente dove la violenza sia pane quotidiano

C’è una madre che scrive a un’altra madre. Sono accomunate da uno stesso dolore, da una stessa tragedia: quella di un figlio morto per salvarle dalla furia omicida. L’ultimo caso, quello di Torremaggiore, non è l’unico. È successo, così come è successo che un figlio si sia trasformato in assassino per difendere un genitore dalla violenza dell’altro.

Scrive questa madre: «Nessuno osi dirti che è colpa tua». Certo, le colpe sono soltanto di chi commette quel delitto. Ma c’è una responsabilità che ciascun genitore ha: quella di non far crescere i propri figli in un ambiente dove la violenza sia pane quotidiano. Quella di dire basta, anche se è difficile. Anche se alle volte «Basta!» non lo si dice proprio adducendo i figli come motivazione. Eppure esistono uomini come il panettiere albanese che in provincia di Foggia ha prima ammazzato l’uomo con cui pensava la moglie avesse una relazione e poi ha ucciso la figlia (che aveva cercato di evitare alla madre la stessa fine) e filmato i corpi a terra. Si è quindi messo a cercare l’altro figlio, di cinque anni, per uccidere anche lui. Non l’ha trovato, fortunatamente.

È difficile immaginare che un omicida agisca all’improvviso, colto ‘solo’ da un raptus senza avvisaglie. È più facile immaginare che l’omicidio sia il culmine di altre violenze. Violenze che purtroppo, a dispetto di quanto si dice, spesso vengono sottovalutate. Ancora oggi. Una madre (così come un padre) non può incolpare sé stessa perché al suo posto è morto un figlio o una figlia. Ma provare a prevenire questo sì. Senza sottovalutare le difficoltà che ancora adesso incontra chi denuncia un partner violento. Farlo però può significare la differenza fra vivere e morire. Per sé stessi o per chi si ha di più caro al mondo. Senza contare che un bambino cresciuto in un ambiente violento porterà inevitabilmente i segni di quello che ha visto e vissuto nei suoi primi anni di vita.

Sembra logico e banale eppure non lo è, altrimenti non avremmo vicende come questa ultima. E come molte altre. Scegliere, essendo genitori, comporta prendere decisioni anche per chi non può ancora farlo per sé stesso. Ed è una responsabilità moltiplicata. Questo senza nulla togliere al fatto che le vittime vanno sempre sostenute. Altrimenti diventano vittime due volte. Ma è importante ricordare che si può essere parte attiva. Si può dire basta oppure no. Si può cambiare, anche se cambiare a volte è più difficile che restare.

di Annalisa Grandi

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