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Grazie Sofia Corradi, ‘Mamma Erasmus’

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Sofia Corradi se n’è andata lo scorso 17 ottobre. Parliamo della professoressa nota (non quanto avrebbe meritato) come “la mamma” del Progetto Erasmus

Sofia Corradi

Grazie Sofia Corradi, ‘Mamma Erasmus’

Sofia Corradi se n’è andata lo scorso 17 ottobre. Parliamo della professoressa nota (non quanto avrebbe meritato) come “la mamma” del Progetto Erasmus

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Grazie Sofia Corradi, ‘Mamma Erasmus’

Sofia Corradi se n’è andata lo scorso 17 ottobre. Parliamo della professoressa nota (non quanto avrebbe meritato) come “la mamma” del Progetto Erasmus

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Sofia Corradi se n’è andata lo scorso 17 ottobre, l’ultimo saluto le è stato tributato l’altro ieri, lunedì. Parliamo della professoressa nota (non quanto avrebbe meritato) come “la mamma” del Progetto Erasmus.

L’ultima volta l’avevano vista in tanti, chiamata da Roberto Benigni come ospite d’onore della serata su Rai 1 dedicata al sogno dell’Europa unita. La donna cui centinaia di migliaia di ragazzi devono una prospettiva diversa, più bella, più ampia, più profonda di vita.

Sofia Corradi e il Progetto Erasmus

In fin dei conti pochissimi hanno fatto nella pratica quotidiana ciò che ha fatto la professoressa Corradi con il Progetto Erasmus. Con l’idea – se ci pensate di una semplicità ed efficacia fulminanti – di permettere l’incrocio delle esperienze di studio e vita dei ragazzi dei diversi Paesi dell’Unione.

Io vengo a studiare da te e tu vieni a studiare da me, io conosco le tue abitudini, i tuoi sistemi di insegnamento e tu i nostri. Tu mangi come mangio io e io mangio come mangi tu, in quelle favolose serate di universitari in giro per il continente in cui a turno ciascuno cucina qualcosa per i colleghi ed amici.

Parlo per testimonianza indiretta, purtroppo: sono stato pessimo studente e non ho avuto il privilegio di accedere al Programma Erasmus, anche perché non me lo sarei meritato.

Una generazione di europei è stata cresciuta anche da questa esperienza formativa di inestimabile valore

Come dicevamo, una generazione di europei è stata cresciuta anche da questa esperienza formativa di inestimabile valore, profondità e (perché no) sano divertimento. Sono nati innumerevoli amori e matrimoni, tanti figli di Erasmus o ‘solo’ una moltitudine di storie d’amore che restano per sempre in un angolo di cuore.

Da italiani siamo orgogliosi che sia stata proprio una nostra concittadina, una nostra prof, ad avere l’intuizione fondamentale che ha dato il via a questa esperienza collettiva. Correva il 1969 quando impostò il concetto di base, anche se l’Erasmus avrebbe visto la luce a livello europeo solo 18 anni più tardi.

Quando guardiamo al nostro Paese, quando ascoltiamo basiti certe affermazioni cariche di inspiegabile fastidio se non addirittura odio per l’ideale unitario – per quest’oasi ormai quasi solitaria di democrazia e rigido rispetto dei diritti dell’individuo che è l’Unione europea – pensiamo sempre al motivo fondamentale per cui costoro falliranno: falliranno perché una marea di ragazzi ha toccato con mano, respirato, sperimentato e saggiato ogni giorno la forza e la bellezza della libertà, dell’assenza di confini, della possibilità di sviluppare i propri talenti in un ambiente, un mondo dove non ti guardano il passaporto o il colore della pelle. Dove se sai fare e hai voglia di fare, troverai qualcuno disposto a darti un’opportunità.

Non abbiamo intenzione di ingigantire i meriti e gli ambiti del Progetto Erasmus, che deve restare ciò per cui è stato pensato e aggiungiamo – come si accennava – non per chiunque ma per chi merita. Eppure è un indicatore fenomenale del perché il futuro va in questa direzione, pur fra mille disastri.

di Fulvio Giuliani

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