“I bambini del bosco”: il giudice li trasferisce in comunità. L’Italia divisa
Il giudice ha deciso di trasferire in una comunità educativa i tre bambini che vivevano, insieme ai genitori, in una casa isolata in un bosco in provincia di Chieti
“I bambini del bosco”: il giudice li trasferisce in comunità. L’Italia divisa
Il giudice ha deciso di trasferire in una comunità educativa i tre bambini che vivevano, insieme ai genitori, in una casa isolata in un bosco in provincia di Chieti
“I bambini del bosco”: il giudice li trasferisce in comunità. L’Italia divisa
Il giudice ha deciso di trasferire in una comunità educativa i tre bambini che vivevano, insieme ai genitori, in una casa isolata in un bosco in provincia di Chieti
Il giudice ha deciso di trasferire in una comunità educativa per un periodo di osservazione i tre bambini che vivevano, insieme ai genitori, in una casa isolata e a contatto con la natura, nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti.
Il nuovo provvedimento dunque dispone che i minori, accompagnati dalla madre, stiano nella struttura designata dal Tribunale, mentre entrambe i genitori continuano a ribadire che le motivazioni della loro decisione sono dettate esclusivamente dal desiderio di farli crescere a contatto con la natura in un contesto sereno quale il bosco.
Il caso dei “bambini del bosco”
Nelle ultime settimane l’Italia intera si è ritrovata a parlare di questa storia che ha diviso, fatto riflettere e colpito per una scelta di vita impopolare: quella di due genitori anglo-australiani che hanno deciso di crescere i propri figli lontani dal caos della vita moderna e dalla digitalizzazione. Una casa immersa nel verde, che non utilizza né corrente elettrica, nègas, la scelta dell’istruzione domestica con il sostegno di un’insegnante privata, il tutto accompagnato dal fruscio degli alberi e una quotidianità scandita dalla luce del sole. Per molti un sogno coraggioso, per altri un pericolo e un campanello d’allarme.
Le cose iniziano a precipitare quando, ad aprile 2025, a seguito di un ricovero per intossicazione da funghi, la notizia attira giornali e tv. La madre Catherine intervistata condivide con gioia le ragioni della loro scelta di vita. Tutto ciò crea un dibattito acceso, solleva domande difficili, fino all’intervento dei servizi sociali e alla conseguente decisione di allontanare i bambini dalla loro casa per affidarli ad una comunità protetta.
Il dibattito sul caso
Le opinioni si dividono: da una parte c’è chi difende la famiglia perché riesce a comprenderne le scelte e a riconoscerle come un atto di libertà e un tentativo autentico di crescere i propri figli lontani da un mondo troppo veloce e artificiale. Un raro privilegio, quello di conservare il contatto con la natura, senza dispositivi e senza consumismo.
Siamo nel 2025, ogni giorno ci battiamo per includere le diversità, ne facciamo manifesto e poi c’è chi dall’altra parte parla di pericolo, di privazioni, di limiti troppo grandi per bambini così piccoli. C’è chi teme la mancanza di cure adeguate, l’isolamento e rischi di una vita lontani da tutto. A volte, gli stessi che trascorrono il proprio tempo sul divano in “compagnia” dei propri figli ognuno con il proprio smartphone in mano.
Una spaccatura evidente, che porta a chiedersi quale sia il confine reale tra una scelta di vita sana e una che può compromettere la crescita di un figlio. Una vicenda che pone domande le cui risposte risultano tutt’altro che semplici: qual è il modo giusto per crescere i propri figli? Libertà o protezione? Natura o sicurezza? Cosa significa davvero accompagnare un figlio a vivere la propria vita?
E mentre il dibattito cresce e si infittisce, tre bambini oggi sono stati separati dalla quotidianità costruita nei silenzi e nei rumori del bosco per entrare improvvisamente in un mondo totalmente diverso.
Una storia che fa riflettere
Forse il vero tema non è scegliere da che parte stare, ma rendersi conto che crescere un figlio significa spesso addentrarsi in un terreno fragile, in cui ogni decisione pesa, ogni gesto educa, ogni assenza parla. Un ruolo delicato quello del genitore che per sua natura non è perfetto perché i figli non si possiedono, ma si possono solo affiancare trasmettendogli ciò che siamo.
Non sappiamo come finirà tutta questa storia e se verranno trovati dei compromessi affinché questa famiglia possa portare avanti la propria scelta di vita. Certo sarebbe bello poter vedere nascere uno scambio tra stili di vita opposti, dove l’uno possa pacificamente arricchire l’altro senza portare nessuno a snaturarsi.
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