I bambini senza vacanze
I bambini senza vacanze
I bambini senza vacanze
Un’estate maledetta per i bambini in città. A Ferragosto, a Santa Caterina di Pasian di Prato (in provincia di Udine), un bimbo in bicicletta è stato messo sotto da un’auto ed è finito in ospedale in gravi condizioni. A Mohanad, 11 anni, è andata peggio. È stato investito nella periferia di Milano, poco lontano dalla rosticceria del padre Abdallah. Combatteva la noia in bicicletta e così aveva fatto anche l’altra sera, attendendo la chiusura del locale. Era quasi mezzanotte e quella probabilmente sarebbe stata l’ultima corsa della giornata. E’ morto sul colpo.
Durante l’anno scolastico i bambini come Mohanad sono ombre invisibili: crescono nei retrobottega, di tanto in tanto, qualche testolina spunta dietro a un bancone. Con le belle giornate escono allo scoperto e popolano i marciapiedi adiacenti ai negozi dei genitori, trascorrendo giornate tutte uguali. Per loro non ci sono campus multisport, niente vacanze al mare o montagna. Le botteghe di mamma e papà non chiudono praticamente mai: sono i figli del parrucchiere cinese, del gestore del minimarket, del kebabbaro, di uno degli ultimi internet point in circolazione; sono i figli di una cultura che ancora mette il lavoro sopra ogni cosa.
Una cultura che oggi ci sembra lontana, immemori del fatto che fino al secolo scorso quei bambini eravamo noi.
Erano i figli di chi partiva con la famosa valigia di cartone all’inseguimento di un sogno da costruire, all’estero come al nord Italia. Erano uomini capaci di fare immensi sacrifici. E se quella abnegazione totale verso il lavoro non è più necessaria (né saremmo capaci di replicarla, corroborati da misure come il reddito di cittadinanza), lo si deve anche a loro.
I tanti stranieri che nelle estati bollenti continuano a far vivere le città non sono che lo specchio del nostro passato, con i loro figli a fare da ponte tra questi due mondi.
Nemmeno a dirlo, sono proprio quest’ultimi a patire di più il confronto con i coetanei: sono ragazzi a cui basta una gita mordi e fuggi, al lago o al fiume, per sentirsi un po’ più uguali agli altri. Giornate che non di rado si trasformano in tragedie dato che quasi nessuno di loro ha mai frequentato un corso di nuoto da piccolo. Non sapeva nuotare nemmeno il 17enne della Costa D’Avorio, il cui corpo è stato ritrovato dopo oltre due giorni di ricerche nel lago Lavarone, in Trentino. Ci era andato con i boy-scout, che con l’oratorio di zona, rappresentano spesso l’unica via di fuga da quelle giornate tutte uguali trascorse su di un marciapiede torrido di città.
di Ilaria Cuzzolin
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