Il carcere di Ivrea non è una eccezione
Il carcere di Ivrea non è una eccezione
Il carcere di Ivrea non è una eccezione
Le carceri italiane sono sovraffollate non da oggi e di conseguenza per forza di cose gli agenti di polizia penitenziaria sono in numero inferiore a quanti dovrebbero essere. Questo non giustifica nulla, perché esiste un Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha il compito di vigilare su quanto avviene all’interno delle mura circondariali. Com’è possibile che sistematicamente emergano situazioni di questo tipo? È evidente che in qualche misura, e fermo restando che chi commette un abuso o una violenza ne risponde in prima persona, c’è una falla in tutto il meccanismo. A partire dai controlli.
Senza arrivare a vicende come quella di Ivrea, sarebbe necessario che finalmente lo spinoso tema venisse affrontato in modo serio e organico. Magari anche evitando che in carcere vengano rinchiuse persone che hanno commesso reati che non comportano una pericolosità sociale. Chi ha violato la legge deve pagare, è indubbio, però partendo dall’assunto che in un carcere sovraffollato i rischi – di tutti i generi, da quello sanitario a quello del mantenimento dell’ordine – sono maggiori che in una struttura dove il numero di detenuti è pari a quello previsto dalla struttura. E dalla quantità di personale di sorveglianza presente. Occorrerebbe affrontare la questione senza slogan e senza battaglie ideologiche ma cercando di sanare una situazione che si trascina praticamente immutata da parecchi anni.
La polizia penitenziaria deve poter operare in condizioni accettabili, così come deve essere dignitosa la condizione in cui si trovano i detenuti. Non si tratta di essere buonisti, ma semplicemente civili.
di Annalisa GrandiLa Ragione è anche su WhatsApp. Entra nel nostro canale per non perderti nulla!
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