Il dolore e le parole indecenti
Si chiamava Octay Stroici l’operaio romeno di 66 anni morto nel crollo dell’antica Torre dei Conti al centro di Roma. Una storia tragica aggravata dalle parole indecenti del Cremlino
 Il dolore e le parole indecenti
Si chiamava Octay Stroici l’operaio romeno di 66 anni morto nel crollo dell’antica Torre dei Conti al centro di Roma. Una storia tragica aggravata dalle parole indecenti del Cremlino
Il dolore e le parole indecenti
Si chiamava Octay Stroici l’operaio romeno di 66 anni morto nel crollo dell’antica Torre dei Conti al centro di Roma. Una storia tragica aggravata dalle parole indecenti del Cremlino
Si chiamava Octay Stroici l’operaio romeno di 66 anni morto nel crollo dell’antica Torre dei Conti al centro di Roma. Ieri sera abbiamo sperato e anche intimamente esultato alla notizia del suo salvataggio, quando i vigili del fuoco – dopo quasi 11 ore di lavoro delicato, pericoloso e complesso – erano riusciti a arrivare all’uomo e a estrarlo dalle macerie.
Che la situazione fosse molto grave si era intuito per tutto il pomeriggio e ancor più al momento del salvataggio, perché fra gli applausi e la commozione di chi si trovava sul posto, si è dovuto subito ricorrere a un massaggio cardiaco per rianimare l’operaio. Poi, la corsa in ospedale e poco dopo la mezzanotte la triste notizia che non c’era stato più nulla da fare.
L’ennesima morte sul lavoro, in questo caso in un crollo nel cuore di Roma, che più cuore non si può, nel cedimento di un importante monumento medievale con una sua grande storia e l’indiscutibile rilievo di carattere architettonico, artistico e appunto storico. Dovremo capire, ragionare. Come al solito ci interrogheremo su come sia possibile che in questo Paese nell’eterno balletto degli appalti e subappalti e soprattutto delle responsabilità possano con stupefacente e tragica regolarità avvenire tragedie che anche per la sensibilità comune non sono accettabili. Dovremmo essere stati in grado di prevenire.
Sin qui il dolore, poi c’è lo sconcerto legato alla tragedia e al crollo di ieri: le parole insopportabili e ben oltre quelle definibili “in libertà“ di una donna ossessionata dall’Italia in genere dal suo presidente Mattarella: la portavoce del ministero degli Esteri russo Marina Zakharova. Sappiamo bene che russi sono storicamente molto abili nella propaganda, anche quella più maliziosa e doppiogiochista, ma pur in tempi grigi e tristi come questi dovrebbe esistere un limite. Invalicabile.
Quello che ancora una volta la signora Zakharova ha superato senza il minimo indugio e scrupolo, collegando quanto accaduto nella Capitale agli sforzi italiani per sostenere l’Ucraina aggredita da Vladimir Putin oltre tre anni e mezzo fa. Salto logico indecente, che per una volta ha registrato una reazione compatta, bipartisan e pronta dell’intero arco costituzionale. Si sarebbe detto un tempo.
Questo consola, ma giusto un po’, mentre siamo costretti ad ascoltare indecenze e offese. Comunque utili, nella loro grande amarezza, a ricordarci con chi abbiamo a che fare e perché mentre tutto sembra traballare si debba tenere il punto con questi signori senza scrupoli.
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