Non esiste una scala di gravità degli omicidi, ma di certo un genitore che ammazza un figlio lascia sconcertati. Ancora di più se quel genitore, Davide Paitoni, era agli arresti domiciliari per aver tentato di uccidere un collega, appena un mese fa. Quel reato non intaccava il suo diritto di vedere il figlio Daniele, che con lui doveva passare il Capodanno. Il 40enne l’ha sgozzato e nascosto in un armadio per vendicarsi dell’ex moglie, la mamma del bimbo, da cui si era separato e che l’aveva denunciato per lesioni.
Nei suoi confronti era stata attivata una procedura di Codice Rosso per maltrattamenti in famiglia. Neanche quello però era sufficiente a far venir meno i suoi diritti di padre. Non lo erano neanche i suoi problemi di dipendenza dalla cocaina. Tasselli che presi singolarmente fanno rabbrividire ma che riuniti aggiungono tante domande allo strazio della famiglia di un bimbo di 7 anni la cui morte forse poteva essere evitata. Il padre non era mai stato aggressivo nei confronti del bimbo, ma certo ci si chiede come sia possibile che una persona evidentemente instabile sia stata giudicata in grado di badare al figlio. Senza nessun controllo. Dove si pone il limite fra il diritto di genitore e il dovere di tutelare chi non può difendersi da solo? Com’è possibile non vi sia stato un controllo su chi aveva già dimostrato di poter nuocere? Un’accusa di tentato omicidio e una di maltrattamenti non sono dettagli. E nelle pieghe della lentezza della giustizia, il prezzo più alto l’ha pagato un innocente.
di Gaia Bottoni
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