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Il voto sulla revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini

Oggi che si celebra il 25 aprile 1945 come se fosse un 25 dicembre, ovvero un Natale delle libertà. Forse è il caso di interrogarsi sulla storia degli italiani più che dell’Italia.
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Il voto sulla revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini

Oggi che si celebra il 25 aprile 1945 come se fosse un 25 dicembre, ovvero un Natale delle libertà. Forse è il caso di interrogarsi sulla storia degli italiani più che dell’Italia.
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Il voto sulla revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini

Oggi che si celebra il 25 aprile 1945 come se fosse un 25 dicembre, ovvero un Natale delle libertà. Forse è il caso di interrogarsi sulla storia degli italiani più che dell’Italia.
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Oggi che si celebra il 25 aprile 1945 come se fosse un 25 dicembre, ovvero un Natale delle libertà. Forse è il caso di interrogarsi sulla storia degli italiani più che dell’Italia.
Molti nemici, molto onore. Letta così, nell’epoca attuale delle libertà e della democrazia, trattasi d’una frase idiota. Eppure questa affermazione ha contribuito a segnare, nel Ventennio fascista, il mito del duce. Di Benito Mussolini. Quello che aveva sempre ragione. Talmente sempre che i Comuni italiani, nell’era del suo potere imperante, han fatto a gara nell’assegnargli onorificenze e cittadinanze. Oggi, 25 aprile 2022, noi ci soffermiamo soprattutto sulle seconde. Non per un voyeurismo sul potere che fu, bensì per tentare un’analisi del perché così tanti paesi e città italiane, negli anni del fascismo, abbiano iscritto ad honorem nelle loro anagrafi il cittadino Mussolini Benito. La questione merita attenzione, soprattutto perché al giorno d’oggi quegli stessi Comuni vogliono revocargli la cittadinanza onoraria. Un fatto banale di cronaca ha innescato nei giorni scorsi un dibattito: è accaduto che a Carpi il voto sulla revoca della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini non sia passato. Apriti cielo. La narrazione dell’antifascismo si è scatenata sull’argomento, dimenticando la domanda più importante: perché, negli anni del fascismo al potere, le città e i paesi italiani, con gli amministratori d’allora, han fatto a gara ad avere Mussolini cittadino? La ragione è semplice e inquietante al tempo stesso: perché gli italiani sono – per necessità, storia e ragioni di sopravvivenza – equivicini al potere e non equidistanti. Una fotografia, questa, che richiede il rigore della storia e non della cultura della cancellazione così modaiola al giorno d’oggi. La cittadinanza a Benito Mussolini è un fatto storico e revocarla, 100 anni dopo la Marcia su Roma, non è un atto di libertà ma di revisionismo. E trattandosi di revisionismo la questione non è più morale – il bene contro il male – bensì storica e interroga sulla natura stessa del popolo italiano. Molto fascista ai tempi del fascismo. Poi molto comunista e molto democristiano ai tempi del Pci e della Dc. E infine assai berlusconiano all’epoca di Silvio Berlusconi. Oggi che si celebra il 25 aprile 1945 come se fosse un 25 dicembre, ovvero un Natale delle libertà, forse è il caso di interrogarsi sulla storia degli italiani più che dell’Italia. Già, la storia degli italiani, il nome che – seppur al singolare (“Storia di un italiano”) – ha fatto declinare a quel grande attore che è stato Alberto Sordi i vizi e le virtù d’un popolo intero. Come sottolineava lui stesso nel film “Una vita difficile” di Dino Risi, interpretando l’ex partigiano idealista Silvio Magnozzi: «Non c’è niente da vedere, è tutto uno schifo… Non visitate l’Italia! Statevene a casa vostra, che è meglio». E attenti. Che dall’8 settembre al 25 aprile, in Italia, può essere questione d’un attimo. Ad honorem. di Massimiliano Lenzi

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