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Immigrazione senza integrazione

Basta farsi un giro in una qualunque nostra grande città, da Nord a Sud: scopriremo aree dove l’integrazione è utopia e la tensione è latente
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Immigrazione senza integrazione

Basta farsi un giro in una qualunque nostra grande città, da Nord a Sud: scopriremo aree dove l’integrazione è utopia e la tensione è latente
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Immigrazione senza integrazione

Basta farsi un giro in una qualunque nostra grande città, da Nord a Sud: scopriremo aree dove l’integrazione è utopia e la tensione è latente
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Basta farsi un giro in una qualunque nostra grande città, da Nord a Sud: scopriremo aree dove l’integrazione è utopia e la tensione è latente

Non c’è tema più attuale di quello dell’immigrazione. Dei nuovi sbarchi, della gestione dei moltissimi che arrivano. Ma c’è unaltra faccia di questa medaglia: quella rappresentata dai tanti che in Italia sono giunti da tempo o da quelle seconde generazioni che qui sono nate.

Basta farsi un giro in una qualunque nostra grande città, da Nord a Sud: scopriremo aree dove l’integrazione è utopia e la tensione è latente. Aree dove c’è unaltissima concentrazione di immigrati e non certo arrivati da poco. La sensazione, passeggiando o incrociando sguardi e parole carichi di diffidenza, è che si siano poco o nulla integrati. Anche perché sono aree dove sono loro” in maggioranza e pertanto la percezione è di quartieri che richiamano il modello fallimentare delle banlieue francesi, dove una sorta di extraterritorialità ha finito per incancrenire il problema e sfavorire la vera integrazione. Capita a Milano così come a Torino, a Firenze, a Bologna e via a scendere lungo lo Stivale. Anche chi ci vive da anni non crede in una vera possibilità di integrazione. Ci si guarda a vicenda con sospetto. Alle difficoltà di alcuni italiani – da riconoscere, prima di condannare – di comprendere il tessuto sociale che cambia, fa da contraltare la percezione di questi immigrati di essere una “città nella città”. Come se non ci fosse meltinpot possibile, con leffetto di non renderlo realizzabile. Anche alcuni dei più giovani, cresciuti frequentando le nostre scuole, si sentono stranieri e spesso senza vere possibilità di futuro. Diventano i giovanissimi che spacciano, i ragazzini che si accoltellano in strada, i membri delle baby gang. Diventano una bomba a orologeria. Non si sentono veramente accettati e, non percependo di avere le stesse possibilità dei coetanei italiani, finiscono per vivere di espedienti. Con una rabbia palpabile e soprattutto pericolosa.

In certe periferie la notte diventa impossibile e la disperazione sfocia nel crimine. Persino le forze dell’ordine faticano a intervenire in modo incisivo. Il problema va guardato in faccia prima che esploda. Non si tratta soltanto di numeri ma di gestire una realtà fatta di luci, ombre e scala di grigi: ci sono esempi positivi e importanti (è il caso dei tanti figli di immigrati ricordati dal Presidente Mattarella parlando delle nostre scuole) e chi invece trasforma alcune stazioni in luoghi inavvicinabili, bivacca nei parchi e spaccia (attività in cui brillano anche tanti italiani). In questi casi a prevalere può essere soltanto la legge.

Affrontiamo il tema senza ideologie, concretamente. Perché basta osservare poco oltre i nostri confini per capire cosa rischiamo di diventare.

di Annalisa Grandi 

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