Ipocrisia, sconfitte e menzogne
Ieri per la prima volta Vladimir Putin ha ridisegnato ufficialmente i confini dell’aggressione all’Ucraina, al suo fianco il presidente bielorusso Lukashenko. Ora la creazione di uno Stato fantoccio, in stile bielorusso, viene indicata come l’obiettivo da raggiungere dall’armata.

Ipocrisia, sconfitte e menzogne
Ieri per la prima volta Vladimir Putin ha ridisegnato ufficialmente i confini dell’aggressione all’Ucraina, al suo fianco il presidente bielorusso Lukashenko. Ora la creazione di uno Stato fantoccio, in stile bielorusso, viene indicata come l’obiettivo da raggiungere dall’armata.
Ipocrisia, sconfitte e menzogne
Ieri per la prima volta Vladimir Putin ha ridisegnato ufficialmente i confini dell’aggressione all’Ucraina, al suo fianco il presidente bielorusso Lukashenko. Ora la creazione di uno Stato fantoccio, in stile bielorusso, viene indicata come l’obiettivo da raggiungere dall’armata.
Anche se il valore della sua parola è estremamente relativo, come abbiamo imparato in queste sei settimane, è un fatto che ieri per la prima volta Vladimir Putin abbia ridisegnato ufficialmente i confini dell’aggressione all’Ucraina.
‘L’operazione militare speciale’, nella sua ipocrita definizione, mira ora alla ‘liberazione’ del Donbass. L’area russofona nel sud est del Paese inizialmente è stata solo il casus belli per l’occupazione dell’intera Ucraina, il cambio di governo a Kiev e la creazione di uno Stato fantoccio in stile bielorusso, ora viene indicata come l’obiettivo da raggiungere dall’armata.
Kiev è dimenticata, con le tragedie che si sono susseguite nel nord del Paese e sugli altri fronti abbandonati, con tutti i morti, le devastazioni, gli errori di un pezzo di guerra che ora il dittatore fa finta non sia mai avvenuta.
Per esigenze interne, è evidente, non certo agli occhi del mondo che non può essere così ingenuo da archiviare il fallimento strategico russo nella prima fase del conflitto.
Dietro l’imbarazzante riduzione degli obiettivi del Cremlino, però, si nasconde l’annuncio di una mattanza per quel pezzo di Ucraina che Putin vuole a tutti costi e ha trasformato di fatto in uno scalpo. Emblema di questo mattatoio la città di Mariupol, ormai quasi completamente controllata dai russi, tranne poche centinaia di metri quadrati di resistenza poco più che simbolica delle forze ucraine. Una spina nel fianco, in un mare di macerie e distruzione, che pure costringe Mosca a perdere tempo, uomini, mezzi ed energie in una città particolarmente odiata sin dall’inizio di questa follia, perché eletta a simbolo non solo della resistenza, ma del supposto neonazismo ucraino.
Non a caso, con al fianco il fido cameriere bielorusso Lukashenko, ieri Vladimir Putin ha insistito più volte sul concetto della ‘denazificazione’, cavallo di battaglia propagandistico che evidentemente suona ancora molto bene sulla grancassa russa.
Si è concesso di usare anche il termine “tragedia“, riferendosi a ciò che sta accadendo in Ucraina. Mai termine potrà appare più grottesco, uscito da quella bocca. Uno sberleffo atroce alla guerra e ai suoi morti, pronunciato dall’uomo che ha voluto tutto questo. Sarebbe stato difficile, nella sua involontarietà, definire in modo più netto la responsabilità e la follia del suo disegno.
di Fulvio Giuliani
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