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La Russia verso il made in Cina

Mentre l’Occidente tenta in tutti i modi di mediare, forse c’è speranza che l’appello di Papa Francesco di incontrare Putin venga accolto, la Russia sembra dirigersi verso una totale dipendenza cinese.
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La Russia verso il made in Cina

Mentre l’Occidente tenta in tutti i modi di mediare, forse c’è speranza che l’appello di Papa Francesco di incontrare Putin venga accolto, la Russia sembra dirigersi verso una totale dipendenza cinese.
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La Russia verso il made in Cina

Mentre l’Occidente tenta in tutti i modi di mediare, forse c’è speranza che l’appello di Papa Francesco di incontrare Putin venga accolto, la Russia sembra dirigersi verso una totale dipendenza cinese.
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Mentre l’Occidente tenta in tutti i modi di mediare, forse c’è speranza che l’appello di Papa Francesco di incontrare Putin venga accolto, la Russia sembra dirigersi verso una totale dipendenza cinese.
Verrebbe da chiedersi perché mai il presidente francese Emmanuel Macron accetti di trascorrere due ore al telefono parlando con il muro, la sensazione che avrà provato davanti alla sequela di niet oppostigli da Vladimir Putin. Parliamo dello stesso leader che dovette subire la duplice umiliazione dell’improponibile tavolone bianco dello zar (imposto anche al Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres) e soprattutto della sprezzante frase di Putin: «Io non parlo con lei, ma con il suo capo (Joe Biden, ndr)». La risposta è nel fondamentale sostegno politico e diplomatico alle sanzioni, di cui ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato il sesto round al netto delle divisioni poi emerse, architrave dell’opposizione attiva al dittatore. Queste non hanno il fine ultimo di stroncare l’economia russa – il che equivarrebbe a un atto di guerra (specialità della casa al Cremlino) – ma costringere Mosca ad accettare una mediazione. Ecco perché si continua a telefonare, ad appellarsi, a cercare uno spiraglio nel muro di irrazionalità eretto da Putin intorno a sé e al nocciolo duro del suo potere. Ci hanno provato gli israeliani, i turchi, pur con colpevole ritardo l’Onu. Continuano in tanti, ma solo dall’Occidente o legati alla sfera di influenza della nostra parte di mondo. Mai dalla Russia. Ci prova Papa Francesco, che nel colloquio con il direttore del “Corriere della Sera” Luciano Fontana ha mandato messaggi inequivocabili di condanna della guerra d’aggressione, dell’isolamento dello zar, dell’obbrobrio delle parole del patriarca russo Kirill in appoggio al conflitto, ma ha anche offerto un appiglio a Putin parlando di «abbaiare della Nato». Il Vaticano vuole provare a essere il mediatore, per ora il portavoce del Cremlino dice di No all’incontro. Aggiunge, però, sibillino che il Papa deve seguire le “vie diplomatiche”. Segnali? Non si ha traccia di attivismo di altri. La Cina sembra dar ragione al luogo comune del fiume e della sponda, attendendogli eventi e cercando di massimizzarne il profitto. L’India non è pervenuta. Questo politicamente, perché dal punto divista economico – come ci permettiamo di far notare dai primi giorni di questa follia – Pechino e Delhi hanno già avviato le loro grandi manovre. È notizia delle ultime 36 ore la richiesta (si noti la finezza) delle cosiddette raffinerie ‘indipendenti’ cinesi di acquistare più petrolio russo, che una volta superate le divisioni emerse sarà completamente bannato dall’Ue. Secondo quanto riferito dagli stessi importatori ‘autonomi’ al “Financial Times”, avrebbero cominciato a sostituirsi negli acquisti alle compagnie statali imponendo prezzi ribassati e aiutando il governo cinese a mantenere un basso profilo. Che in Cina qualcuno possa fare affari senza che il partito lo sappia appare improbabile. A questo punto, sembra di sentirli i putiniani d’Italia: «Visto che Pechino corre in soccorso dell’alleato?». In realtà, è vero l’esatto opposto: i cinesi comprano più petrolio da Mosca, ma al prezzo che dicono loro. Logico e scontato, perché la bottega di Pechino è scaltra e cara, in tutti sensi. Gli indiani non vogliono essere da meno ed è così filtrata la notizia di offerte di acquisto di greggio russo intorno ai 70 dollari al barile, quando il Brent– il petrolio estratto nel Mare del Nord – è ben oltre quota 100. I russi guadagnerebbero pure a 70, ma non serve un genio per cogliere ciò che sta accadendo. Con le sanzioni la Russia non ha più accesso a un mercato libero. Sono misure che fanno soffrire anche le nostre economie, mettono i nostri sistemi politico-economici sotto stress, ma fanno maledettamente male all’economia russa. Fermarsi all’artificiale sostegno fornito al rublo da Putin (destinato al fallimento perché l’Europa pagherà il gas solo in euro e dollari, come sempre) o allo scontato e inevitabile impatto sul Pil del conflitto (nell’allucinata retorica putiniana diventato una responsabilità dell’Occidente e non di chi la guerra l’ha scatenata) non basterà a negare la realtà di un’economia senza alternative. Tutte le strade di Mosca portano a Pechino, in una prospettiva di dipendenza dal padrone cinese da far accapponare la pelle. di Fulvio Giuliani

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