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La tragedia di Milano e i nostri vecchi

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La tragedia nella casa di riposo di Milano accende di nuovo i riflettori sui nostri anziani, sempre più numerosi. Da ricordare ogni giorno, non solo nella sventura

La tragedia di Milano e i nostri vecchi

La tragedia nella casa di riposo di Milano accende di nuovo i riflettori sui nostri anziani, sempre più numerosi. Da ricordare ogni giorno, non solo nella sventura
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La tragedia di Milano e i nostri vecchi

La tragedia nella casa di riposo di Milano accende di nuovo i riflettori sui nostri anziani, sempre più numerosi. Da ricordare ogni giorno, non solo nella sventura
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La tragedia nella “Casa di riposo per coniugi” di Milano stringe il cuore per le vite andate perdute, quella fine atroce e silenziose di esistenze di cui non sappiamo nulla. Possiamo però immaginare le loro giornate tutte uguali, passate cercando solo un po’ di serenità e cura al crepuscolo del proprio percorso su questa Terra. Chi è stato più fortunato delle sei vittime l’abbiamo visto portato lontano da quell’inferno di fuoco a braccia dai soccorritori – ancora una volta la nostra macchina dell’emergenza si è dimostrata un’eccellenza – oppure accompagnati fra mille attenzioni il più lontano possibile dalle fiamme e dal fumo, altrettanto micidiale. Alcuni di loro li abbiamo visti allontanarsi sorreggendosi ai deambulatori, scortati dalle donne e dagli uomini dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile. Anziani, sempre più numerosi. Grazie al cielo, perché viviamo più a lungo e in buona salute, allungando i confini della vita verso traguardi che solo poche decine di anni fa apparivano impensabili. Anziani percentualmente ogni anno più numerosi, in una società che di figli ne fa sempre di meno. Anziani via via più invisibili, a dispetto del loro stesso numero: nessun paese in Europa ha tanti over 65 come l’Italia e al mondo siamo secondi solo al Giappone. Non è un giudizio morale: è soltanto una modesta fotografia di tutti noi, di come viviamo, dei nostri ritmi, dei nostri tempi. Solo poche generazioni fa gli anziani invecchiavano in casa, circondati da figli e nipoti che in loro riconoscevano le radici, la propria origine. Oggi è cambiato e lo ripetiamo per non correre il rischio di essere fraintesi: non è meglio o peggio di allora. È radicalmente diverso. Ci siamo dolorosamente accorti di loro nel pieno della pandemia, quando quel maledetto virus subdolo, silenzioso e mortale si è portato via un pezzo della generazione cui dobbiamo la nostra ricchezza, le nostre comodità e anche i vizi di una società tanto opulenta quanto pronta a lamentarsi alla prima occasione. Oggi non si è anziani fino all’estremo della vita e anche questa è una grande fortuna dei nostri tempi: provate a dare del “vecchio” ad un settantenne in giro per il mondo, impegnato nella partita pomeridiana di padel o a testare l’ultimo ristorante fusion alla moda. La vecchiaia è una stagione brevissima, mentre un tempo occupava quasi un terzo della vita e si campava pure tanto di meno. I vecchi-vecchi fanno sempre più fatica a trovare uno spazio, si eclissano lentamente in un mondo che corre e dimentica. Li abbiamo visti per un attimo, in una tragica nottata milanese. Si sono allontanati in fretta per non disturbare troppo. di Fulvio Giuliani

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